I cinema sono di nuovo chiusi, e questa volta senza nessun motivo. Il governo italiano ha deciso di avviare una nuova serie di chiusure dovute all’aumento dei contagi che si sta verificando in questo autunno del 2020, a cominciare dal 26 di ottobre fino al 24 novembre. Per un mese ora saranno chiusi teatri, cinema, palestre, piscine e i locali dovranno chiudere dalle 18. Indicazioni molto precise su questo, mentre continuano a mancare piani per il trasporto pubblico, per la scuola, per lo smart working e i posti di lavoro.
La situazione è sicuramente ancora complicata, la temuta seconda ondata pare si stia verificando in parte dell’Europa, come previsto. Però oggi la nostra consapevolezza è aumentata e i dati su cui lavorare cominciano ad essere tanti e importanti.
Le premesse per questo articolo sono queste: innanzitutto qui vogliamo approfondire le questioni legate al cinema, perché purtroppo a questo sono limitate le nostre competenze; in secondo luogo non vogliamo fare paralleli con altri tipi di attività più o meno sicure, più o meno rimaste aperte, per non alimentare una guerra tra poveri insensata; infine vogliamo riflettere sulla base dei dati con spirito critico e diffonderli senza strumentalizzazioni per permettere a tutti di avere una visione chiara e formarsi la propria opinione.
Per cui la prima cosa da fare è osservare la ricerca fatta da Celluloid Junkies, riportata in Italia dall’ANEC nazionale per testimoniare come nei luoghi di spettacolo i contagi siano praticamente nulli. Questa ricerca è stata pubblicata il 19 ottobre in questo articolo, di cui cercheremo di fare una sintesi e riportare le dichiarazioni salienti. L’articolo comincia con una dichiarazione importante:
“Non un singolo caso di COVID-19 in tutto il mondo può essere ricondotto a un cinema, un multiplex o un luogo di proiezione”.
Che metodologia ha usato Celluloid Junkie, un sito di informazione che si proposto di indagare senza la presunzione di istituire un caso di studi, per arrivare a questa conclusione? Nell’articolo loro riassumono le loro operazioni da marzo in avanti:
- uso di Google News Alerts in lingue differenti ha permesso di tracciare giornalmente news e articoli relativi al cinema nel corso dell’anno.
- Google Translate ha permesso di espandere il tracciamento delle notizie oltre l’inglese e le altre lingue parlate in redazione. Anche se lo strumento non è perfetto ha funzionato sufficientemente bene.
- Sono stati in contatto costante con gli organi di rappresentanza dei cinema, incluse UNIC, NATO, MTAC, la Global Cinema Federation, SAWA.
- Su diverse piattaforme (email, LinkedIn, Twitter, Zoom, etc.) hanno coinvolto circa cento catene di cinema, operatori e manager.
- Con l’hashtag #CJCinemaSummit hanno intervistato e parlato con figure di rilievo attraverso l’intera industria cinematografica da marzo.
Fondamentali poi sono stati alcuni casi riscontrati e analizzati nei singoli contesti nazionali: si fa riferimento a un contagio in un cinema di Neu-Hulm in Germania, che si è recato al cinema il 22 febbraio e non ha contagiato nessuna delle 138 persone che erano in sala con lui; a Singapore invece, dopo aver riscontrato un contagio, il cinema in oggetto ha immediatamente sospeso le attività e avviato una accurata sanificazione dei locali, e nessun nuovo contagiato è stato ricondotto a questo spazio; in Inghilterra addirittura sono risultati positivi due membri dello staff, che non hanno però contagiato nessun’altro, ne spettatori ne colleghi. In Sud Corea sono stati registrati 49 contagi su 3,51 milioni di presenze nei cinema, e nessuno di questi si è sviluppato in un focolaio.
Non si può parlare puramente di fortuna.
Senza voler puntare il dito contro nessuno, siamo arrivati in un momento di questa dolorosa pandemia in cui abbiamo gli strumenti per comprendere dove e come si sviluppano i focolai di contagio, e di conseguenza prendere provvedimenti per questi luoghi e casi specifici.
Presa visione dei dati, la chiusura dei cinema (e altri luoghi con simili modalità di accesso e fruizione, da qui in poi lo diamo per scontato) è priva di fondamento. E da qui scaturisce la comprensibile rabbia degli operatori del settore. Quali sono i motivi della scelta del governo? L’idea che ci siamo fatte è che si sia deciso di tagliare una serie di servizi e attività sulla base della loro “non- necessarietà”, senza però informarsi adeguatamente sui dati che abbiamo agilmente reperito e tradotto. Aggiungiamo che al momento è introvabile un dato nazionale sulle attività cinematografiche: quante sono le sale che hanno lavorato in questi mesi? E con che ritmo? Quante invece sono rimaste chiuse e perchè? Sono fallite? Stanno aspettando momenti migliori? Un’inchiesta del genere a livello italiano è doverosa per capire che danno sta riportando questo settore.
Invece siamo di fronte a un taglio indiscriminato.
L’altro elemento da considerare è che forse non c’è un rappresentante dell’ambito culturale italiano che abbia una voce abbastanza forte per imporsi sulle scelte di governo. Dov’è il Ministro Franceschini che dovrebbe conoscere questi e molti più dati sul settore di sua competenza? Diventa evidente che la cultura non è un settore capeggiato da qualche “potere forte” o qualche lobby abbastanza ricca da imporsi su una decisione del genere. Permane la suggestione che con la cultura non si mangia.
Ma così non è, anzi. Il nostro paese conta innumerevoli operatori del settore culturale e turistico, che comprende dai musei ai concerti alle fiere. Restando solo in ambito cinematografico, nel 2019 il cinema ha incassato € 635.449.774 euro, per 97.586.858 presenze, in aumento del 14,35% rispetto al 2018 (Fonte ANICA). Questo solo attraverso le sale, senza calcolare l’impatto di produzioni e coproduzioni, del ritorno sui territori dove si girano i film, ecc. Questo settore non è morto, anzi, stava vivendo un momento di crescita prima del lockdown di marzo, e quando gli è stato possibile riaprire si è adoperato per adeguare le sue strutture secondo le norme di sicurezza, nonostante:
- 4 mesi di chiusura, dall’8 marzo (anche se alcune regioni avevano già cominciato a chiudere il 24 febbraio) fino al 15 giugno;
- meno spettacoli da poter proporre, sia per una questione di orari, perché bisogna ricavare il tempo tra uno spettacolo e l’altro per permettere il deflusso ordinato degli spettatori e sanifica, ma anche a livello dell’offerta che si è rapidamente estinta. Le mega produzioni stanno infatti andando tutte verso l’uscita in streaming, uscendo anzitempo dai giochi.
- Posti dimezzati per rispettare il distanziamento, e quindi metà degli incassi potenziali.
- Affrontare la paura del pubblico di recarsi in una sala cinematografica.
E in questi mesi non è stata fatta mezza riflessione sul futuro di questo settore, sempre più teso dalla regole imposte dalla pandemia da un lato e da quelle delle piattaforme di streaming dall’altra. È’ esemplificativo in questo momento ricordare che la Festa del Cinema di Roma, festival che si è tenuto in presenza nella capitale, è stato inaugurato dalla presentazione in pompa magna del nuovo film Pixar Soul, nonostante Disney avesse comunicato già da qualche giorno che questo film non uscirà in sala ma solo sulla piattaforma Disney+. Quindi coi nostri soldi pubblici questo film è stato programmato e promosso, ma non contribuirà in alcun modo a risollevare le sorti delle sale italiane. Il nostro paese deve cominciare a prendere posizione di fronte a queste dinamiche se non vuole appiattirsi completamente alle leggi di mercato che vedranno le piattaforme sempre più potenti (ricordiamo che grazie al lockdown Netflix sta galoppando verso il raggiungimento di 200 milioni di abbonati) e le sale sempre più in difficoltà. Pensavamo di avere anni per poter discutere tutte le evoluzioni del settore, il contesto nazionale e internazionale, il quadro giuridico e l’impatto sociale di questi cambiamenti, e invece dobbiamo agire adesso.
In questo momento bisogna unire le forze per avviare uno studio effettivo della condizione del cinema italiano dopo lo stress test della pandemia e assolutamente non possiamo trovarci impreparati qualsiasi sarà lo scenario futuro.
Credo che la rabbia degli esercenti sia condivisa anche da chi si occupa di critica come noi che vuole genuinamente contribuire a uno sviluppo sostenibile di questa grande industria che nutre tantissimi lavoratori nel corpo e nella mente.