Ritorno a Venezia 77: prime impressioni dalla Mostra della ripartenza

Rientrare in sala, con la mascherina sul volto e le mani ancora umide intente a sfregarsi l’amuchina residua, per poi sedersi accanto, ma a distanza, di un nuovo estraneo venuto a condividere la tua stessa esperienza… e veder comparire il logo di Venezia 77. Per mesi questo è stato solo un sogno nella testa di noi cinefili frequentatori della Mostra del Cinema timorosi di come il Covid-19 poteva strapparci un festival come quello di Venezia.

Già tanti festival si sono confrontati quest’anno con l’ingerenza del virus, costretti a rinunciare all’edizione, come Cannes, a posticiparla, come è successo al nostro Florence Korea Film Festival, o a trasferire il festival online, come il Far East Film Festival, che è riuscito nell’impresa di farsi percepire come evento anche se seguito da distante. Venezia però è il primo a tornare a svolgersi dal vivo con pochissime variazioni rispetto alla normalità. Le differenze più evidenti sono le mascherine, da indossare tutto il tempo, il numero di film più contenuto (anche se sono aumentate la proiezioni, per poter permettere a tutti di accedere nonostante la capacità dimezzata delle sale) e il sistema di prenotazione completamente digitale. C’è poi una parete che isola il red carpet e sono spariti i cartelli che segnalavano le code divise tra i diversi accrediti. Adesso tutti prendono posto in ordine sparso, giornalisti, professionisti e studenti, e la corsa all’accesso in sala si è spostata sui cellulari e sui computer sempre accesi per prenotare appena possibile il posto per il prossimo spettacolo. 

Il primo giorno di rodaggio è stato positivo: si riesce a vedere i film agevolmente, niente più code di ore e l’esperienza della visione é coinvolgente nonostante la mascherina, che risulta un ostacolo da nulla anche se indossata per dieci ore. La gestione dell’evento pare buona e ci si sente sicuri, cosicché ci si può concentrare sul vero fulcro della manifestazione: i film. 

Il programma di quest’anno ha risentito anch’esso del Covid-19, si nota dai titoli americani assenti, ma il programma si propone variegato e ricco. Sono infatti oltre cinquanta i paesi rappresentati. Gli spazi lasciati vuoti da titoli più imponenti sono stati riassegnati a film di paesi poco presenti nelle edizioni precedenti, operazioni originali, e anche un maggiore spazio per le autrici donne (sette nel Concorso). I presupposti ci sono, adesso bisogna passare alla visione. 

Il film di apertura Lacci di Daniele Lucchetti é un buon lavoro, equilibrato e godibile, che parla di una famiglia frammentata ma al tempo stesso legata in modo inscindibile. Non è un’apertura scoppiettante, ma si difende. 

Apre Orizzonti invece il film greco Mila di Christos Nikou, assistente alla regia per Lanthimos in Dogtooth che rientra perfettamente nell’estetica e nei contenuti della New Wave del paese ellenico, tra alienazione e dialogo con le sfide quotidiane. Il film a tratti diverte, a tratti commuove, ma non fa scuola. Viene presentato un piccolo universo dove tantissime persone stanno perdendo la memoria e vengono recuperate in un programma di “nuova identità”, che li spinge a vivere delle nuove esperienze da cui ripartire per costruirsi una nuova vita. 

Spettacolare conclusione di giornata con il film Fuori Concorso Night in Paradise di Park Hoon-jung, il film che rappresenta la Corea del Sud in questa edizione. Un film crime che mescola una buona dose di azione e violenza con le vicende personali di un gangster e di una ragazza malata terminale, disposti a tutto per ottenere giustizia. Film esaltante, mai monotono e che tiene incollati alla sedia, concedendosi anche dei momenti lirici e un finale alla Kitano. 

Mi ha colpito infine in maniera particolare il film di Giornate degli Autori Conference di Ivan I. Tverdovskiy, che ripercorre l’attentato del 2002 al teatro Dubovka di Mosca da parte di una milizia cecena attraverso i racconti dei sopravvissuti. Non si tratta però di un documentario, bensì di una ricostruzione finzionale: la protagonista, splendidamente interpretata da Natalya Pavlenkova, é la madre di una delle vittime che, dopo essere diventata suora e essere fuggita dalla sua comunità, torna per organizzare il 17° anniversario dell’evento tragico, cercando di coinvolgere gli altri sopravvissuti in un momento di catarsi completa. Il film è costruito con immagini bellissime, dove i corpi sono ricollocati nello spazio dell’inquadratura per dialogare con lo spazio immenso del teatro vuoto. Il sonoro è un perno fondamentale per veicolare l’attenzione durante il film, capace di creare tensione con un solo potente rumore. È un film che non cede al patetismo, ma ci mostra come ci siano sempre modi nuovi per elaborare un lutto e altrettanti nuovi sguardi attraverso cui guardarlo, al di lá di giusto o sbagliato.

Nonostante la prima stanchezza dell’arrivo, amplificata dalla scoperta di un sistema nuovo in una condizione di potenziale rischio, il festival conquista, anche quest’anno.

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