Il cinema per riflettere sulla realtà

I nostri report dai festival quest’anno aprono tutti con la stessa banale ma importante osservazione: si sta verificando un’emergenza sanitaria su scala mondiale che ha rimesso in discussione l’esistenza di tutte le realtà culturali che, dopo una fase di incertezza, stanno cercando di trovare nuovamente uno spazio nel loro tessuto urbano e non solo. Si stanno  infatti mettendo alla prova con la diffusione virtuale, con zoom, streaming, sale virtuali e social network in maniera massiccia e inedita, scoprendo gioie e dolori di questi nuovi mezzi. 

Il Nuovo Coronavirus ha scaraventato il mondo in un futuro che sembrava lontano, quello in cui la tecnologia dovrebbe diventare necessaria come il cibo e come l’aria, e le realtà culturali sono tra le più attente e sensibili a recepire questo cambiamento e veicolarlo verso il pubblico. 

CinemAmbiente è un festival che ha 23 anni e si è sempre interessato ai cambiamenti, grandi e piccoli, che stanno anno dopo anno influenzando il nostro mondo, come ambiente naturale e come contesto sociale. Sebbene nessuno dei film presentati in questa edizione speciale di quattro giorni parli direttamente dell’epidemia da Coronavirus, guardando le numerose immagini provenienti da tutto il mondo siamo costretti a fermarci a riflettere sui fenomeni che ci circondano e prendere atto che “siamo un’unica realtà”, per dirla con una citazione disneyana.

All’uscita da ogni film il pensiero è sempre rivolto a come il fenomeno protagonista della pellicola appena vista impatta sulla nostra vita e cosa possiamo fare per correggere la rotta. In questo festival è davvero possibile sentire la forza del cinema di muovere le menti, di spingerci a prendere posizione e agire, molto più di quanto non possa fare un comizio politico o un seminario scientifico. Le immagini ci prelevano, ci tengono in ostaggio, e sono capaci di farci sentire i brividi sulla pelle di fronte alla distruzione in poche ore della cittadina di Paradise in California a causa degli incendi o di fronte alle pubblicità degli anni ‘60 che inneggiavano alla comodità della plastica che adesso invade le nostre terre e i nostri mari. Le immagini non possono essere ignorate, prorompono nel nostro vissuto di cittadini privilegiati che vivono dal lato fortunato del globo e ci raggiungono anche se il film non è eccelso, anche se il mezzo non è usato nella maniera corretta, nonostante gli errori, la fretta e la mancanza di sperimentazione.

Questo è il festival che maggiormente mi fa scordare di essere un critico cinematografico e più mi ricorda che sono un essere umano, e che camminando, viaggiando, mangiando sto contribuendo alla fine del nostro pianeta. 

Paradise, CA – Jim Nobel, local business owner, at his orchard. (National Geographic/Lincoln Else)

Difficile quindi parlare solo dei film per la loro forma, senza dedicare del tempo considerevole al suo messaggio, che qui predomina ed è giusto guardare oltre alla cornice estetica. Qui i film diventano manifesti di cui si può solo prendere atto come testimonianze della crisi di un mondo che a un certo punto scomparirà. Come dice Roger Hallman, cofondatore del movimento Extinction Rebellion, nel film The Troublemaker, noi adesso dobbiamo insorgere accettando che ciò a cui andiamo incontro è la morte. Dobbiamo andare avanti abbandonando l’accomodante pensiero della speranza perché finché continuiamo ad aggrapparci a questa idea salvifica non ci impegneremo in prima persona per cambiare le cose. Dobbiamo agire collettivamente comprendendo che non abbiamo nulla da perdere, possiamo solo abbandonarci in una nuova forma di catarsi, perdere noi stessi per esprimere chi siamo davvero: esseri umani maltrattati da un sistema consumistico corrotto che non fa il nostro interesse, neanche nella comodità delle confezioni monoporzione o dei sacchetti di plastica. Questi messaggi, espressi con la ridanciana spontaneità di Hallman, devono essere ascoltati e il cinema assiste questo importantissimo momento. Non a caso lo slogan di questa edizione speciale è proprio Movies Save the Planet, una frase semplice ma piena di una verità a cui tutti assistiamo: le immagini ci impongono di fermarci a riflettere al di fuori delle nostre vite frenetiche in cui è impossibile tenere tutto insieme. Il tempo di un film può aprirci a nuove dimensioni e a una nuova consapevolezza, esattamente ciò che serve in questo momento storico più che mai. 

Il film di chiusura The Great Green Wall è un esempio perfetto. La musicista Inna Modja ci accompagna attraverso l’area sud sahariana del Sahel, portandoci alla scoperta della enorme quantità di problemi ambientali e sociali che affliggono l’Africa. Passo dopo passo ci appare palese come sia l’inaridimento dei territori e la mancanza di autonomia economica delle popolazioni a nutrire i fenomeni di violenza e la migrazione di massa che stiamo vivendo anche noi italiani in prima persona, attraverso i numerosi sbarchi che ogni anno avvengono sulle nostre coste. Ci viene proposto un viaggio per mettere insieme i tasselli di un grandissimo fenomeno di sofferenza, la cui chiave di risoluzione è nuovamente la salute del pianeta.

In un altro documentario che davvero apre la mente come Kiss the Ground, ci viene detto che dovremmo tutti diventare testimoni del cambiamento climatico e della lotta per risanare il nostro mondo, perché è così facendo che potremo aprire anche una sola mente, un solo cuore alle questioni ambientali. E’ mettendoci la faccia che possiamo pian piano contagiare gli altri con qualcosa di positivo.

Ed è questo ciò che stanno facendo questi film, stanno transitando chilometri e chilometri per coinvolgere sempre più persone in questo risveglio. 

Intanto vi consigliamo di recuperare Kiss the Ground, disponibile su Netflix, e noi continueremo ad aggiornarvi sui film da vedere…magari in un futuro articolo a tema.

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