Scarpette rosse, cuscini di carta stagnola, una medium che si accende una sigaretta durante un esorcismo, carta da parati che si anima, uno zombie tramutato in dj impazzito da una scarica di corrente elettrica, ma soprattutto tanti fenomeni paranormali radicati nel conflitto sociale e familiare, e decisamente un gran numero di madri deviate. Sono alcune delle tante piccole perle da ricordare nel flusso inarrestabile di immagini che ci hanno travolto durante questa 19^ edizione del ToHorror Film Fest, un festival che seguiamo con grande piacere. La selezione in generale è stata ottima: i film sono arrivati dai paesi più diversi, Francia, Filippine, USA, Corea del Sud, Russia, Giappone, e afferiscono tutti a sottogeneri e influenze diverse.
A partire dai vincitori vorremmo raccogliere le nostre impressioni sui film che ci porteremo dietro da questa edizione 2019.

Il film che si è aggiudicato il premio come miglior lungometraggio è stato The Odd Family: Zombie on Sale di Lee Min-jae, proveniente dalla Corea del Sud. Elisa aveva scoperto questo titolo già a febbraio scorso, ed essendo amanti del cinema coreano (che quest’anno ha raggiunto risultati storici con la sua prima Palma d’Oro) siamo andate a vederlo con incredibile trasporto, e le nostre aspettative non sono state deluse. Questo film si inserisce nella vasta produzione di rivisitazioni del mito dello zombie, in quello che potremmo chiamare il genere Zom-comⓇ, commedia sugli zombie. Dopo numerosi titoli che si sono proposti di modellare ancora e ancora i confini del mostro zombie e del suo impatto sulla società, questo film va oltre. Con tono scanzonato ci parla dell’incontro di una famiglia scombinata con uno zombie evaso da un centro di ricerca, e niente va come ce lo potremmo aspettare. Nella speranza che esca in sala non vogliamo dire di più, ma possiamo assicurare che è un film per cui si ride dall’inizio alla fine, riflettendo al tempo stesso sugli stereotipi del genere.
La giuria del concorso lungometraggi ha deciso anche di assegnare una menzione speciale a un altro film che lavora sui confini tra i generi, il russo Why don’t you just die!. Questa opere prima del regista Kirill Sokolov si pone da subito come un carosello di citazioni al cinema internazionale, che spaziano dai più riconoscibili Tarantino e Sergio Leone, fino a Scorsese e Wong Kar-wai. Immaginate di assistere al massacro degli 88 folli nell’appartamento di Amélie Poulain e più o meno potete avere un’idea di come questo film si presenti visivamente. Un mash up tenuto insieme da una storia in tre diversi punti di vista, intorno a una truculenta vicenda di soldi, sopravvivenza e ricerca di giustizia.
Il premio Antonio Margheriti per l’inventiva artigianale è stato invece assegnato a The Invisible Mother, un film realizzato completamente con il recupero di vecchi trucchi del cinema pre digitale. I due registi Jacob Gillman e Matt Diebler hanno girato il film in casa loro, lavorando in maniera molto personale e appassionata su tutti i dettagli della scenografia e degli effetti speciali, che fanno sorridere per quanto palese sia il loro artificio. Hanno avuto il coraggio di riportare la materialità nel film dell’orrore, andando a colpire il cuore degli spettatori che si sono dovuti sorprendere di come un telo appeso con quattro fili possa davvero suggerire l’inquietante presenza di un fantasma, sensazione che è confluita probabilmente anche nell’assegnazione del premio del pubblico a questo film. Altro plauso va alla scelta degli attori, in particolar modo la coppia di anziani co-protagonisti. Non è usuale avere come figure centrali attive in un film dell’orrore due vecchi signori, una scelta molto audace e splendidamente diretta.
Tous les dieux du ciel ha vinto invece il Premio Anna Mondelli come miglior opera prima, sebbene il regista Quarxx abbia già lavorato a tantissimi cortometraggi. Questo è un film decisamente spinto, che incontra la fantascienza attraverso la malattia mentale del protagonista, rimasto solo a occuparsi della sorella disabile e arrivato a creare nella paranoia l’ipotesi che gli alieni stiano venendo a prenderli. Il film tratta in maniera molto audace il tema della disabilità, attraverso l’esposizione costante del corpo nudo della sorella del protagonista, drammaticamente sfigurata. Tenta di tenere insieme la malattia, fisica e mentale, in un costante rimpallo tra contingenze reali e immaginazione, talvolta sfociando nell’incomprensibile. Riesce però in questo marasma a trasmettere con forza il delicato equilibrio tra i due fratelli, soli contro il mondo.

Una menzione speciale vorremmo farla anche noi al film di Tetsuya Nakashima It Comes, un film allucinato e atipico, di cui però più di qualcosa va lodato. Questo film, lungo più di due ore, riesce a operare quello che secondo noi è un miracolo della sceneggiatura, cioè cambiare per ben tre volte punto di vista e protagonista del film, senza per questo allontanare lo spettatore dal dramma che sta osservando. La storia passa dallo sguardo del padre di famiglia a quello della moglie e madre della piccola Chisa, fino allo sguardo di un personaggio che pareva laterale e invece si rivelerà vicino alla famiglia e ai suoi bisogni, andando a sostituirsi alla figura paterna. A una prima occhiata questo film parla di possessioni demoniache tramandate all’interno di una famiglia fino alla piccola Chisa, ma in realtà si tratta di un’opera che problematizza la genitorialità senza fare discriminazioni tra donna e uomo, e denunciando come la crescita di un piccolo essere umano possa essere deviata irrimediabilmente dall’incapacità dei genitori di rendersi conto di cosa sta succedendo nel proprio nucleo familiare. In mezzo a effluvi di sangue, gesti rituali e personaggi fumettistici, tutti elementi ricorrenti nella cinematografia giapponese contemporanea, si nascondono numerose note di una riflessione più profonda e che travalica i confini tradizionali. Un film senz’altro da vedere e rivedere.

Nella sezione fuori concorso ha invece spiccato il documentario Hail Satan? di Penny Lane, presentato all’ultima edizione del Sundance e che ha creato un grosso dibattito sulle controversie messe in scena. In estrema sintesi il film ripercorre i passi della fondazione del Satanic Temple in America, e si concentra sulla battaglia fatta dai satanisti per avere sul suolo pubblico un monumento celebrativo che rappresentasse anche la loro confessione religiosa, al pari a quelli della religione cristiana. Con una sapiente orchestrazione delle interviste la regista restituisce un complesso scambio di opinioni e pensiero, andando a fare luce sulle vere motivazioni della nascita del satanismo moderno e di come voglia promuovere le sue idee per portare allo scoperto la grave ingerenza della religione cattolica nella vita politica e pubblica americana. Da situazioni goffe e ridicole il documentario evolve in un percorso politico molto solido, e soprattutto condiviso da numerosissimi testimoni proveniente dagli scenari più diversi. Un film che davvero ci chiede di fermarci e di osservare con sguardo critico la realtà e ciò che diamo normalmente per scontato.
Che dire, questo era neanche mezzo programma del ToHorror Film Fest di quest’anno! Ma abbiamo selezionato i titoli che più ci sono piaciuti, in attesa del prossimo articolo in cui troverete un’intervista al direttore artistico Massimiliano Supporta. Non perdetevelo!
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