Il 30 settembre si è concluso uno dei festival italiani che seguiamo con più interesse e passione, il Florence Korea Film Fest di Firenze. L’evento si è dovuto spostare dalle sue classiche date primaverili di fine marzo a fine settembre a causa del Nuovo Coronavirus, ma è comunque riuscito a svolgersi in una doppia versione dal vivo e online. Queste condizioni anomale che hanno portato il festival a ripensarsi ci hanno permesso di fruire dell’evento anche da casa e quest’anno, per la prima volta da quando lo conosciamo, abbiamo potuto vedere la maggior parte dei film!
Questa edizione ha raccolto una vasta selezione di film, che spaziano dall’action adrenalinico al crime movie al dramma familiare fino al documentario, presentati attraverso le sezioni tematiche: K-History, Orizzonti Coreani, Independent Korea, una selezione di cortometraggi e una retrospettiva sull’attore Cho Jin-woong, che non conoscevamo così bene.
Confrontandoci sulle nostre visioni a distanza, abbiamo concordato che il film che ci ha colpito di più è stato proprio un documentario, A Postcard from Pyongyang (2019) di Gregor Möllers e Anne Lewald. Realizzato tra il 2013 e il 2017, contiene le riprese fatte di nascosto da Möllers durante due viaggi in Corea del Nord, il primo “turistico” e il secondo per la maratona di Pyongyang. Si tratta di un lavoro che mantiene un ottimo equilibrio tra le sensazioni soggettive provate durante i viaggi dal regista e il tentativo di documentare oggettivamente la realtà. La questione del conflitto tra Corea del Nord e Corea del Sud appare spesso nei film sudcoreani, ma non è scontato vedere un punto di vista che riporti il conflitto sul piano della realtà cercando di capire i sentimenti provati dall’altra parte della DMZ (la Demilitarized Zone, è una striscia di confine lunga 250 km e larga 4 km che divide Nord e Sud Corea, stabilita con l’accordo del 1953).

In Occidente abbiamo una nostra idea stereotipata e distante, ed è sempre difficile avere una percezione effettiva di cosa significhi la vita in Corea del Nord. Ad esempio, non eravamo a conoscenza che nell’ideologia trasmessa nella Corea del Nord ci sia un desiderio di fusione tra il sistema capitalistico e quello socialista. Avere documentari come questo è un’occasione preziosa per mettere in discussione la nostra visione e aprirsi a un’idea più chiara di come stanno le cose. Möllers è stato molto bravo a creare un’opera che lascia percepire come gli effetti di totalitarismo e propaganda emergono dai discorsi dei nordcoreani, insieme anche al desiderio profondo di pace che vive nelle persone che ha incontrato in questi viaggi.
L’altro conflitto che abbiamo visto molto presente nella selezione di quest’anno è quello invece tra Giappone e Corea, una parte ancora molto dolorosa del passato dei due paesi che in questa edizione abbiamo osservato in The Battle: Roar to Victory (2019) di Won Shin-yeon e Mal-Mo-E: The Secret Mission (2019) di Eom Yoo-na.
The Battle: Roar to Victory è ispirato alla vera battaglia di Fengwudong, combattuta della milizia indipendentista coreana contro una fetta dell’esercito imperiale giapponese tra il 6 e il 7 giugno 1920 in Manciuria, e vinta dai coreani. Si tratta di una vittoria storica ancora oggi molto sentita e il sentimento patriottico e malinconico emerge molto dal film. Non lo fa però perdendosi in momenti patetici e mantiene l’equilibrio attraverso le molte scene adrenaliniche, ben girate e ben recitate, che lasciano poco tempo di respirare. I personaggi sono tratteggiati poco, ma abbastanza da permettere l’empatia anche dello spettatore occidentale e nel complesso si tratta di una visione interessante per conoscere questa fetta di storia che vediamo così poco sugli schermi europei.
Mal-Mo-E: The Secret Mission è ambientato tra il 1930 e il 1940, sempre durante il dominio giapponese, ma in un momento in cui l’odio tra i due paesi stava raggiungendo i suoi massimi picchi. In particolare per un decreto giapponese del 1938 che vietò l’uso della lingua coreana con la volontà di sopprimere lo spirito nazionale. Protagonisti del film sono il gruppo della Korean Language Society che di nascosto lotta per la salvaguardia della lingua cercando di realizzare un dizionario che raccolga tutti i dialetti della Corea. Un film toccante, delizioso per gli amanti del coreano e non, che tra ottime performance e regia sobria si trasforma in un altro documento importante per riflettere sul passato, sul valore della lingua per un popolo e sullo spirito di collaborazione e fratellanza che si crea tra gli esseri umani nei momenti di difficoltà.
La retrospettiva su Cho Jin-woong si è composta di cinque film recenti, in cui l’attore ha recitato tra il 2017 e il 2019, che vanno dal film storico Man of Will fino al remake coreano di Perfetti Sconosciuti, Intimate Strangers. Tra questi ce ne sono un paio che ci sono piaciuti particolarmente. Il primo è Man of Men (2019), in cui Cho Jin-woong interpreta un gangster sgangherato, che combina un guaio dietro l’altro ed è tenuto sott’occhio dal suo boss. A causa delle sue scorribande e colpi di testa la polizia gli impone di fare un periodo di servizi sociali e lo manda ad assistere un avvocato paralitico a cui restano pochi mesi di vita. L’incontro di due persone così diverse nel loro approccio alla vita darà ad entrambi un nuovo sguardo sulle cose, tra risate, lacrime e la ricerca di un senso di cui riempire la propria esistenza. In questo film Cho Jin-woong lavora su un’interpretazione estrema e comica, in netto contrasto con l’interpretazione morigerata e minimale del co-protagonista Seol Gyeong-gu. Il film si regge su queste interpretazioni che creano il tono del racconto, naturalmente dolce amaro.
Completamente diverso è invece A Hard Day (2014), dove Cho Jin-woong compare a film inoltrato per interpretare un mefistofelico poliziotto corrotto, che interviene nelle vicende surreali di un altro poliziotto, il protagonista Lee Sun-kyun, che dopo aver accidentalmente investito un uomo si trova invischiato in una serie di situazioni sempre più tese e incredibili, che inavvertitamente lo hanno portato all’interno della rete criminale di Cho Jin-woong. Un crime grottesco, ricco di suspense e colpi di scena sempre più incredibili, sullo sfondo di un contesto corrotto e nero, come ci racconta anche la fotografia segnata e plumbea.

Siamo rimaste piacevolmente colpite dalla qualità di questa edizione. Tutti i film, anche quelli meno riusciti, si sono rivelati delle visioni interessanti e ci hanno confermato come la cinematografia coreana sia una delle più suggestive del momento.
Come con l’ultima edizione del Far East Film Festival, anche in questo caso lo sdoppiamento sulla piattaforma online è risultato favorevole per molti. Caterina Liverani, organizzatrice e selezionatrice del festival, ci ha confermato che le presenze in sala sono state molte e allo stesso tempo i numeri degli accreditati online sono stati più che positivi. Niente batterà mai l’esperienza di guardare un film nella comodità e nella bellezza di una sala cinematografica, ma per chi non può viaggiare avere la possibilità di partecipare tramite il web non è un’idea da sottovalutare per il futuro. Soprattutto nel caso di festival come questi, che offrono al pubblico una panoramica del cinema contemporaneo asiatico, così raramente presente nelle sale italiane. La maggior parte dei film che abbiamo visto al FEFF e al FKFF con molta probabilità non troverà mai distribuzione in sala, quindi questi eventi sono fondamentali per chi vuole avvicinarsi a queste filmografie.
Continuiamo a ringraziare eventi come il Florence Korea Film Fest per il lavoro fatto, salutandolo quest’anno con la speranza di poter tornare a Firenze per la prossima edizione!
di Arianna Vietina e Elisa Biagiarelli