L’esperienza di IsReal a Nuoro si è conclusa prima che potessi rendermene conto. Così, a malincuore, mentre attendo il volo che mi riporterà al nord, cercherò di raccontare cosa è stata questa esperienza e cosa ho visto all’interno del concorso internazionale.
IsReal è un piccolo grande festival, che è riuscito in un’impresa che personalmente non avevo mai visto: un concorso di nove titoli tutti dignitosi, interessanti, diversi l’uno dall’altro, e tutti accompagnati dai propri registi, che sono stati con noi durante il periodo del festival, permettendoci di confrontarci e chiacchierare insieme. In questo concorso ho trovato anche una modalità molto inusuale e innovativa, cioè quella di far competere insieme sia cortometraggi che lungometraggi. Questo dettaglio, che può apparire minimo, dichiara in realtà una volontà di abbattere delle barriere di preconcetti che tutt’ora governano il cinema. Significativamente il film vincitore è stato il cortometraggio Tourneur di Yalda Afsah, che racconta una lotta tradizionale coi tori che si tiene in estate nel sud della Francia. Il secondo premio invece è andato a Zagros di Shahab Mihandoust e Ariane Lorrain, che è invece un mediometraggio di neanche un’ora sulla lavorazione a mano dei tappeti in Iran. Un film con immagini bellissime che racconta un’esperienza comune ai due registi, iraniani di origine ma emigrati all’estero, che ripercorrono le fasi di un lavoro antico messo a dura prova dalla globalizzazione.
Infine il premio assegnato da noi Giuria Giovani, dieci ragazzi tra studiosi e professionisti emergenti. Abbiamo scelto Carelia: Internacional con Monumento di Andres Duque, in quanto opera sperimentale, militante e coraggiosa. Il film si addentra in un mondo al limitare tra un surrealismo magico e la controversa storia dello sterminio avvenuto in Carelia durante e dopo la seconda guerra mondiale. Questo film mi ha particolarmente colpita per il modo in cui il regista ha usato una ampia gamma di inquadrature e tecniche solitamente poco usate nel cinema documentario, come ha ricreato una sorta di mistery magico riuscendo a inserire comunque materiale d’archivio, fotografia e una potente intervista.
Questi erano solo tre dei nove film in concorso, a cui vorrei dedicarmi ancora un po’. Il motivo è che la selezione era straordinariamente variegata e la qualità dei film davvero alta. Anche se non tutti mi sono piaciuti ho potuto vedere come ogni film ha trovato sostegno da parte di uno o più giurati e quindi nessun film è stato messo da parte perché giudicato non sufficiente per scatenare una discussione. Ecco quindi i titoli e i registi, che vi propongo in ordine di gradimento personale:
Kabul, City in the Wind di Aboozar Amini, che mira a creare una narrazione parallela rispetto a quello che conosciamo della città solo grazie ai mass media.
À Mansourah, tu nous as séparés di Dorothée-Myriam Kellou, un viaggio in Algeria sulle orme del padre per raccontare come migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare la propria casa e raggrupparsi nei paesi vicini, sotto il controllo dall’esercito francese nel dopoguerra.
De los nombres de las cabras di Silvia Navarro e Miguel G. Morales è un film che racconta le popolazioni indigene delle Canarie realizzato interamente con materiale di archivio, compreso il voice over.
Sangre di Adrien Pescayré, intrigante sguardo di confine tra esoterismo e storia, immerso in quadri allucinatori.
Honeyland di Ljubomir Stefanov e Tamara Kotevska è il film più noto della selezione, avendo già vinto un premio come Miglior Documentario al Sundance, ed è anche il più accessibile e popolare che racconta la vita di una donna macedone che produce da sola miele in totale rispetto e sintonia con la natura.
La strada per le montagne di Micol Roubini in cui il viaggio di ricerca delle origini della regista si scopre in realtà come la scoperta del vuoto lasciato dalla storia nel paese di Jamna in Ucraina.
L’esperienza in giuria è stata molto ricca, un microcosmo di scambio inserito in un festival basato sulla condivisione, dove tutti i registi sono passati e sono stati disponibili a parlare con noi, da Claire Simon, Roberto Minervini e Camilo Restrepo fino agli esordienti, come per esempio Aboozar Amin, che ho avuto modo di intervistare e mi ha lasciato delle bellissime frasi come “Il cinema è come un muscolo, va allenato”. Al festival c’erano anche diversi registi e produttori emergenti che hanno lavorato durante il festival per condividere idee e strategie, andando a comporre uno slancio che dal festival adesso è partito per tutta Italia, nel momento in cui ci siamo separati.
Personalmente questa esperienza mi ha riportato ai primi anni in cui frequentavo i festival, anche se all’epoca ero una volontaria che seguiva l’organizzazione. Quella dimensione raccolta della piccola città è un tratto distintivo anche del Detour, Festival del Cinema di Viaggio di Padova, che ho frequentato tanti anni, e un elemento comune anche a tanti altri festival italiani, che potrebbero guardare a IsReal come a un modello. E’ una realtà che attiva la città, da spazio ad autori locali e internazionali e chiama a sé una comunità che magari non conosce la Sardegna, rivelandosi una risorsa anche economica e turistica per il territorio.
Ad oggi, in un mondo di media, tappeti rossi, grandi eventi e interconnessione costante la forza del festival si concentra proprio nella sua dimensione locale dove possiamo conoscere e toccare con mano la passione per il reale.