See you sound V è stata un’esperienza immersiva e affascinante. Avevamo già studiato l’ampiezza dell’offerta del festival, che si è svolto a Torino nell’arco di dieci giorni a fine gennaio, mettendo in campo ben 90 proiezioni e innumerevoli eventi legati alla musica. Era la prima volta che partecipavo e davanti al panorama variegato dell’offerta ho deciso di focalizzarmi su una sezione in particolare, permettendomi alcune occasionali digressioni in caso di pellicole che mi attiravano o mi sono state consigliate.
Mi sono concentrata sulla sezione di Music is the Weapon, che ha messo insieme diversi documentari che parlano del rapporto fondamentale tra musica e rivoluzione. L’ho scelta perché mi permetteva di confrontarmi con il mondo della musica attraverso uno sguardo curioso e desideroso di conoscere i fatti storici legati a delle esperienze musicali. In questo modo ho anche viaggiato attraverso un particolare tipo di film, cioè il documentario di intervista.
Tutti questi film mi hanno offerto degli spaccati di storia, passando da un evento come l’assedio serbo-bosniaco in Scream for me Sarajevo, raccontato dal leader degli Iron Maiden che si introdusse furtivamente nel paese per tenere un concerto clandestino, fino a uno scorcio di musica etiope in Ethiopiques – revolt of the soul, passando per la visione degli artisti sull’avvento dei governi Reagan e Thatcher di Let the fury have the hour, dove sono state raccolte 50 interviste di musicisti, pensatori e performer, incentrate sulla questione dell’individualismo e della risposta creativa.

I miei preferiti però sono stati Satan & Adam e Sing your song. Entrambi fanno leva su delle storie personali per raccontare una fase di cambiamento imperniato sul superamento delle barriere razziali.
Satan & Adam sono stati effettivamente un duetto musicale, divenuto celebre negli anni ’90 perché formato da un nero e un bianco. Due musicisti provenienti da mondi diversi che hanno cominciato a suonare insieme in strada per pura passione e sono passati attraverso situazioni di tensione e derisione prima di debuttare nella scena musicale americana. Il film traccia i contorni di questa storia dalla cui semplicità traspare la straordinarietà, il potere di un piccolo gesto dettato dal cuore che vale molto più di pregiudizi e regole stabilite, e che regala la possibilità di una grande creazione.

Sing your song parla invece della vita di Harry Belafonte, voce del soul nero americano, che nella sua vita ha attraversato tutte le più grandi lotte per la parità, dialogando con Kennedy, Martin Luther King e Nelson Mandela, e che ad oggi è ancora grande attivista per i diritti umani. Questa storia si inserisce in un binario particolare: perché si parla di una storia di vita privata, ma di un personaggio celebre, il primo nero a duettare con una ragazza bianca in televisione, attore e personaggio di spicco della scena politica e sociale. Una parabola quindi di un ragazzo che arriva all’apice della celebrità per poi tornare tra la gente, facendo del suo percorso politico la necessaria controparte alla carriera musicale.

Tutti questi documentari, sebbene costruiti in maniera classica, usando principalmente immagini di repertorio e interviste, acquistano un valore fondamentale di testimonianze.
Uscendo dalla sezione ho avuto modo di vedere alcuni altri lavori interessanti, completamente diversi da quelli visti in Music is the weapon.
A cominciare con un film attesissimo dagli amanti del metal, in lavorazione già da alcuni anni, che parla dei controversi atti di violenza avvenuti in Norvegia per mano di band metal che si proclamavano satanisti. Burzum e i Mayhem sono nomi celebri, al punto da portare in sala frotte di fan della loro musica, curiosi di immergersi nel folle mondo di Lords of Chaos. Io non conoscevo la cronaca, e ho guardato il film con un certo disincanto, credendo di assistere a una certa dose di finzione. Solo dopo la visione ho scoperto che realmente nei primi anni 90’ alcune persone legate a questi gruppi musicali hanno realmente ucciso e messo a ferro e fuoco alcune chiese. Pare quindi che la fedeltà del film ai fatti reali sia elevata, sebbene non manchino le critiche. Il film, presentato nel concorso lungometraggi, è costruito con un tono particolare, volto da un lato a esaltare l’estremismo con cui questi artisti vivevano la loro musica e dall’altra la strisciante possibilità che fosse tutta una posa, pura pubblicità. Il tono a tratti comico e dissacrante dona alle scene di violenza un rilievo ancora più spiazzante e amaro, nota fondamentale di questa pellicola. Il film è uscito negli USA l’8 febbraio, poco dopo l’anteprima a See you sound.

Where are you, João Gilberto? è invece un film diversissimo. Si tratta di un documentario sperimentale, con protagonista lo stesso regista sulle tracce dell’inventore della Bossa Nova Joao Gilberto a San Paolo. Per entrare in contatto con questo musicista il regista ripercorre i passi di un altro grande fan morto suicida alcuni anni prima, creando un viaggio al limite con il mistery, dove l’interrogativo di dove si trovi quest’uomo è in realtà solo il punto di partenza per gravitare intorno a un altro universo, conoscere chi gli è stato vicino, e creare un viaggio che è soprattutto interiore. Si vede molta documentaristica autobiografica, ma questo film riesce a essere originale mostrando due persone, due anime che si cercano, e sono entrambe palpabili, sebbene una delle due non compaia mai in scena. Un esperimento ben riuscito, che fa ridere e riflettere.

Un accenno anche alla presentazione del documentario sugli Ex-otago Siamo come Genova. Interessante processo produttivo, dato che il regista ha cominciato a seguirli per realizzare dei video promozionali per il tour di Marassi e successivamente una serie di avvenimenti, tra cui la tragedia del Ponte Morandi e la selezione della band a Sanremo 2019, hanno nutrito il progetto, fino alla realizzazione di un documentario che sarà distribuito al cinema. Il film è visivamente godibile e interessante, mischiando riprese di concerti, shooting programmati e stralci di dietro le quinte, quindi anche se la struttura è piuttosto abbozzata rimane un prodotto molto carino. Come gran parte dei prodotti monografici su un artista il pubblico a cui si rivolge è il fan del gruppo, e per questo target il film risulta azzeccato. Il film sarà al cinema il 18-19-20 febbraio 2019.

Questo è un piccolissimo focus su un festival che alla sua quinta edizione è già un colosso: la quantità di eventi, la lunga durata, la capacità di far convivere in un cinema anche esibizioni live e spettacoli tra teatro e musica, e soprattutto l’alta qualità dei prodotti che ho visto mi permettono di inserirlo positivamente nella lista dei festival da non perdere.
Non sono mai stata una grande appassionata di musica, ma questo festival forse mi ha fatto ricredere.
Infine ecco anche l’elenco dei vincitori delle varie sezioni
BEST FEATURE FILM
GUNDERMANN di Andreas Dresen (Germania, 2018)
MENZIONE SPECIALE: VILLAGE ROCKSTARS di Rima Das (India, 2017)
BEST DOCUMENTARY FILM
RUDE BOY. THE STORY OF TROJAN RECORDS di Nicolas Jack Davis (UK, 2018)
MENZIONE SPECIALE: GURRUMUL di Paul Damien Williams (Australia, 2017)
BEST SHORT FILM
JUCK di Olivia Kastebring, Julia Gumpert, Ulrika Bandeira (Svezia, 2017)
BEST MUSIC VIDEO
YESTERDAY’S WAKE (Son Lux) di Marek Partyš (Usa / Repubblica Ceca, 2018)
MENZIONE SPECIALE: RESPIRARE (Subsonica) di Donato Sansone (Italia, 2018)