Let the right one in (Låt den rätte komma in, 2008) è un film trasposto dall’omonimo romanzo del 2004 tradotto in Italia con il titolo Lasciami entrare, ed è un altro di quei film horror che ho visto prima di cominciare ad avere una consapevolezza sul genere.
Quando ho programmato il mio anno di I-Scream ho realizzato che di questo film avevo sia letto il romanzo che visto il successivo remake americano Let me in (Blood story in Italia). Ho così pensato di fare un discorso più ampio rispetto alla sola analisi del film.
Il mio intento qui è quello di mettere in fila i tre prodotti e, partendo dal contenuto straordinario del libro, andare ad analizzare come il cinema si è comportato, sottolineando le differenze tra il film svedese diretto da Tomas Alfredson e quello americano diretto da Matt Reeves.
Era il 2006 o il 2007 quando mio padre pensò di regalarmi una copia di Lasciami entrare, appena tradotto e pubblicato per la Marsilio. Nello stesso periodo era uscito anche il libro Twilight, quindi nella mia mente di quattordicenne devo aver pensato che un altro libro sui vampiri era perfetto per arricchire le mie passioni. Lasciami entrare è però un romanzo decisamente molto più adulto e violento di Twilight, e non riuscii a staccarmici proprio per questo, anzi mi sentii trascinata dentro quel mondo.
La storia parla del piccolo Oskar che fa amicizia con la nuova vicina di casa Eli, e pian piano realizza che lei è un vampiro nel corpo di una dodicenne. Questa storyline è stata poi adottata dai film, ma in realtà nel romanzo ci sono altri tre punti di vista da cui viene osservata la vicenda, che si alternano di capitolo in capitolo e sono relativi ad altri personaggi chiave che sono stati appena tratteggiati nei film. Questo è un elemento fondamentale per la struttura del romanzo, che aiuta a renderlo dinamico, imprevedibile e anche a tornare su alcuni avvenimenti dandogli chiavi di lettura differenti. Replicare una tale ricchezza in un film è decisamente complesso, ma alcuni elementi del romanzo sono anche stati eliminati dai film per motivi censori.

Dato che credo molti lettori siano qui a partire dalla visione della versione svedese Let the right one in partirei da questo per approfondire poi i dettagli del libro.
Il film svedese prende il punto di vista di Oskar, il ragazzino fragile e bullizzato, che nonostante la difficoltà a dialogare con le persone intorno a lui trova il perfetto interlocutore in Eli, che ha diversi atteggiamenti molto strani sin dal primo momento. Oskar infatti non sembra spaventato dai suoi piedi nudi nella neve ne tanto meno dai misteriosi omicidi dall’apparenza rituale che sono cominciati da quando la bambina si è trasferita nel palazzo, e che noi spettatori scopriamo essere eseguiti con precisione metodica dal “padre” di Eli, l’uomo di mezza età che vive con lei. Lui procaccia delle taniche di sangue per nutrire la piccola vampira, ma nel momento in cui fallisce la sua missione la bambina è costretta a uscire ed aggredire innocui passanti in maniera brutale. L’incapacità dell’uomo di compiere le sue missioni lo porta a una scelta estrema nel momento in cui, sul punto di essere scoperto, si versa dell’acido sul volto per non essere riconosciuto, e successivamente, dato l’estremo saluto a Eli, muore. A quel punto la piccola è sola, vicina ad essere scoperta, e decide di andarsene. Oskar non vorrebbe separarsi da lei, ma cosa può fare un bambino contro le forze del mondo e senza i mortali strumenti di cui la vampira è in possesso? Ma i due non si separano definitivamente, perchè Eli torna in soccorso di Oskar durante un attacco da parte dei suoi bulli e li uccide. A quel punto i due bambini non possono fare altro che scappare insieme, verso un futuro tremendamente incerto.
Questo film mette in campo due realtà antitetiche, quella dell’immortalità, che ti porta a conoscere tutto, e quella della giovinezza, che invece sottende l’ingenuità e l’inconsapevolezza più totale. L’incontro di Eli e Oskar manifesta l’incontro di queste due esperienze, e il contatto fa da leva per rivelare l’altra faccia della medaglia: pian piano scopriamo infatti che Eli ha dentro di sé una parte bambina che può ancora esprimere, mentre al contrario Oskar ha una inquietante fascinazione per la violenza che sogna segretamente di sfogare.
L’elemento della violenza non è centrato perfettamente in nessuna delle due trasposizioni cinematografiche, che la concentrano molto in due figure, quella del tutore di Eli, che sgozza le vittime casuali, e quella dei bulli, che infastidiscono Oskar in maniera sempre più pesante e violenta, pur essendo suoi coetanei. Mentre i bulli diventano sempre più aggressivi l’uomo adulto invece appare sempre più debole e indifeso, incapace di ricoprire quel ruolo di guida a cui inizialmente abbiamo pensato potesse afferire. In generale il romanzo, e i film di conseguenza, si muove sull’idea che siano i bambini il motore degli eventi, le figure in posizione di potere perché hanno ancora lo spazio per crescere. Gli adulti invece sono costretti nei loro ruoli ormai acquisiti, e quindi possono solo regredire. Non a caso nel romanzo sono rappresentate diverse generazioni, tra cui quella del ventenne Tommy, che compare di striscio nella versione americana, e quella di un gruppo di anziani, brevemente rappresentata nella versione svedese. Mentre Tommy è la figura che esprime la maggiore chiarezza di vedute grazie alla sua posizione sulla soglia tra infanzia ed età adulta, il gruppo di attempati, che vive tra la propria casa e il bar dove vanno a ubriacarsi, sono persone buone ma senza scopo che vivono uno smottamento nelle loro vite quiete grazie agli omicidi e alle aggressioni operate da Eli, tra cui una di queste ai danni dell’unica signora del gruppo, che conseguentemente si trasforma in vampiro.
Rispetto ai film questo è stato uno dei tre elementi che più mi è mancato, perché lo sguardo di questi anziani su un evento così atipico e che arriva a coinvolgerli così da vicino era trattato davvero in maniera coinvolgente. Un capitolo in particolare era dedicato al racconto della trasformazione in vampiro della donna dal suo punto di vista, nella sua totale incomprensione del perché sentisse il bisogno di tagliare le proprie vene per bere il sangue. Poi mi è mancata la figura di Tommy, e infine trovo molto significativo come è stato tagliato il personaggio del “padre” di Eli.
Sebbene entrambi i film sottendano come lui non possa essere un parente della bambina, nessuno si è azzardato ad approfondire il suo passato e il suo vero ruolo, quando invece il romanzo si apre proprio con un tremendo capitolo affrontato dal punto di vista di lui. Håkan (che nei film non viene neanche mai chiamato per nome) è un pedofilo, e ci viene presentato mentre attende in un bagno pubblico l’arrivo del ragazzino che ha pagato per prostituirsi. Questo incipit mi precipitò in un mondo che non conoscevo e che purtroppo è una realtà. Da questa iniziale presentazione Håkan ci introduce alla sua routine, composta di questi incontri e lunghissime attese in cerca delle prede per Eli, con cui lui convive come con una amante per la quale prova un intenso desiderio. Non può però avere una relazione sessuale con lei, poiché lei non ha organi, come brevemente si vede nella versione svedese. Tutta questa tensione sessuale tra Håkan ed Eli sparisce completamente dal film, per l’ovvia ragione che si tratta dell’immagine di un uomo di mezza età e di una dodicenne. Però i due vivono insieme perché Eli ha soggiogato l’uomo in una dimensione di desiderio perpetuo e impossibile da soddisfare, plasmandolo in una sorta di venerazione. Questa dimensione traspare in maniera sottilissima nella versione americana, quando vediamo le fototessere di Abbi e Håkan (nella versione americana è definito solo “il padre”) in cui lui è molto più giovane mentre lei è sempre uguale. Questo elemento viene buttato lì e apre un baratro su qualcosa di diverso, cioè sul tempo che quest’uomo ha trascorso con lei, e che presumibilmente sarà il tempo che anche Oskar le donerà.
Ora che abbiamo detto qualche cosa in più sul romanzo, veniamo alla comparazione dei due film, usciti solo a due anni di distanza. La versione svedese a mio parere è la più bella, già dal punto di vista visivo. L’ambientazione nordica è restituita con colori freddi e dolci, con una fotografia molto morbida che rende anche gli interni come fossero spazi nebbiosi e innevati. La regia ha costruito delle inquadrature e delle sequenze davvero memorabili, molte delle quali sono visibili già nel trailer, e che sfortunatamente non sempre Matt Reeves è riuscito a replicare nel suo remake. Una su tutte la scena finale nella piscina, che tra l’altro è stata valutata dal canale Cinefix come la più bella scena di morte nel cinema.
L’estetica ricercata da Alfredson è stata a tratti scimmiottata da Reeves, ma in realtà il risultato è tremendamente diverso. La fotografia dell’australiano Craig Fraiser è molto più contrastata e sulle tonalità teal and orange, ormai una moda assodata nel cinema americano. Naturalmente, rispetto all’essenzialità degli effetti visivi della versione svedese, quello americano abbonda di trucco, effetti speciali, velocizzazioni e anche una manipolazione sonora della voce di Abbi molto più gutturale e inquietante.
Possiamo dire che quello americano vuole essere più sensazionale, aggiungendo delle scene più rocambolesche, però anche più semplice. Molte cose vengono spiegate e banalizzate, a partire dalla scelta dei piccoli attori. Mentre gli attori svedesi ben incarnavano il loro essere borderline, gli americani sono più semplici, una su tutti il personaggi di Abbi interpretato dalla Moretz, che è molto più femminile e dolce nei lineamenti rispetto a Lina Leandersson, che fece un bel lavoro per far trasparire l’adulto dietro il suo viso di bambina. Per quanto riguarda il personaggio di Oskar invece nel film americano non traspare il suo lato davvero violento. Owen (nuovo nome americano) si esercita con il coltello solo per difendersi, mentre Oskar nutre un autentico desiderio di fare del male, che vediamo comparire in maniera diabolica e sollevata sul suo viso quando finalmente colpisce il suo bullo.

Il remake americano purtroppo perde la grazia del film svedese, che rimane secondo me l’opera che incarna meglio lo spirito del libro. Let the right one in è più particolare e degno di nota, mentre il remake è un’operazione commerciale fatta per sfruttare l’onda, e per fornire agli americani la versione semplificata, ambientata in America e animata da attori a loro conosciuti, tra cui perfino Richard Jenkins.
In ultimo secondo me, mentre Let me in di Reeves può essere definito horror, il film di Alfredson è qualcosa di diverso. E’ un film che spaventa in maniera più sottile, inquieta non grazie ai colpi di scena ma al lavoro della messa in scena, giocata molto sul vicino e lontano. Prendiamo ad esempio la sequenza del primo omicidio perpetrato da Hakan. Il suo approccio con la vittima avviene in un campo lungo, tutto sezionato dai tronchi degli alberi come fossero quinte di un teatro. Successivamente noi veniamo buttati davanti al rituale a una distanza decisamente più prossima e scomoda. Questa costruzione dell’inquietudine avvicina il film a un thriller, ma anche a una dimensione drammatica più intima.
Penso al contrario alla scena che più ho amato del remake invece, cioè quella all’ospedale in cui la donna vampirizzata scopre il sangue. La scena è al limite del trash, ma è giocata benissimo nella logica della vicinanza. Partiamo da un piano medio, poi la scena si sposta fuori dalla stanza ma noi continuiamo a poter osservare dentro grazie alla porta aperta, e infine siamo ricacciati davanti alla tremenda immagine della donna che si sta divorando un braccio.
Se volete approfondire c’è anche un lungo video molto divertente di Twin Perfect in cui potete vedere un parallelo tra i due film sia come immagini che come contenuti, ma che io trovo un po’ troppo esagerato. Io trovo che seppur coi loro difetti siano due film molto interessanti da vedere, avendo consapevolezza ovviamente di cosa stiamo vedendo.
Questo lavoro di parallelo tra film e remake lo ritroverete il prossimo anno con un nuovo film! Intanto, avevate visto questi lavori? Avete letto il romanzo? Fatecelo sapere!