Questa esperienza si aggiunge alla lista di festival a cui già abbiamo partecipato, tra cui la Mostra del Cinema, il TFF, il Florence Korea Film Fest, le Voci dell’Inchiesta, l’Euganea Film Festival. Un elenco che speriamo continui a crescere, perché l’esperienza festivaliera si riconferma sempre unica. Come ben diceva il direttore artistico Massimiliano Supporta del ToHorror, “vedere i film in sala è il modo migliore di vedere i film, e vedere i film ai festival è il modo migliore per vederli in sala”.
Il ToHorror è adesso alla sua 18esima edizione, ed è un festival tematico che, a dispetto dello short name, è concentrato su “cinema e cultura del fantastico”. I prodotti che si possono vedere qui sono infatti molto diversificati, rivolti certamente a un pubblico appassionato del genere horror, ma non solo. E scrivo questo perchè ho visto diversi dei film in concorso pur non essendo una grande appassionata, e li ho apprezzati tutti. Non solo, sono stati film che mi hanno insegnato qualcosa.
Andiamo più nello specifico. Il concorso ospita una sezione di lungometraggi, uno di cortometraggi e uno di corti animati. Inoltre a lato delle proiezioni vengono ospitati numerosi incontri sulla letteratura, il fumetto, e quest’anno anche il videogioco. Tutte le sezioni di concorso hanno una loro giuria, quest’anno tutte composte unicamente da donne per omaggiare l’annata di forti lotte per i diritti. Tema che ha invaso anche le immagini portanti del festival, che si sono rivolte alla figura e al concetto della strega. Oltre le giurie ufficiali viene anche assegnato un premio del pubblico, attraverso l’insolito sistema di dare agli spettatori un dente finto per assegnare il proprio voto.

Film! Oltre all’inizio col botto avvenuto con la proiezione di Climax di Gaspar Noé (che abbiamo recensito qui) ho avuto modo di vedere altri quattro lungometraggi e ben otto film di animazione corti.
Cominciando dai corti secondo me la qualità dei lavori proposti era davvero alta, molti erano coprodotti da CNC o Canal+, oltre che dalla Film Commission Piemonte e CSC di Animazione. Inoltre tutti i lavori erano diversissimi, sia per stile di animazione (ho visto stop motion, disegno, doodle, scrapping, animazione digitale con ibridazioni video) sia come tipo di contenuto: passando da film come The Death, Dad and Son, che si rivolge anche a un pubblico infantile con un’animazione quasi disneyana, fino a un sessualissimo Robhot interamente scarabocchiato a penna o un Knockstrike più simile a un viaggio sotto acidi tra richiami vintage e fumetto. Personalmente il mio preferito è stato Reruns, un film interamente digitale in cui un uomo rivive in un sogno contorto alcuni dei suoi traumi della vita, montato senza soluzione di continuità in un loop inquietante che comprendeva anche delle originalissime apposizioni di proiezioni video reali.
Reruns Robhot The Death, Dad & Son Knockstrike
Passando ai film in concorso che ho visto anche qui il primo plauso è l’incredibile varietà. Ho visto il film stile hostage situation Derelicts, il più classico Summer of ‘84, il thriller psicologico ¿Eres tú, papá? e uno zombie movie molto particolare, un film che attendevo molto, One cut of the dead.
Tutti meritano almeno una parola, per motivi molto diversi.
Derelicts di Brett Glassberg (opera prima) parla di una famiglia presa in ostaggio in casa propria da un gruppo di freak violenti, gestendo all’interno di una sola location un genere abbastanza crudo e splatter. Il risultato è piuttosto convincente, forse proprio perchè non è un horror che si prende sul serio ma che gioca con gli stereotipi.

Summer of ‘84 di Simard, Whissel e Whissel (trio di autori che aveva già precedentemente realizzato Turbo Kid) è completamente diverso. Classico, quasi una copia carbone di It o film horror di quel genere, risultato della stessa nostalgia anni ‘80 che ha animato Stranger Things. Un film quasi didattico nelle sue fasi, nella sua costruzione dei personaggi e delle azioni, che però riserva delle fondamentali differenze che ci fanno capire come questo sia un film di oggi, che esprime una disillusione e un messaggio molti diversi.

¿Eres tú, papá? di Rudy Riverón Sánchez (opera prima) si proclama il primo thriller psicologico ambientato a Cuba, paese natale del regista. E’ un film molto più particolare rispetto ai precedenti, che parla di una famiglia, padre padrone, moglie sottomessa e figlia adolescente. Il padre impedisce alla moglie di uscire, la maltratta, la lega, la umilia, ma la cosa ha un impatto particolare sulla figlia. Lei infatti non riesce a prendere posizione, vivendo al suo interno un conflitto tra l’osservanza della legge paterna e l’empatia verso la madre. Questo conflitto di violenza sconvolgente evolverà in maniera inaspettata nella pellicola, che riesce con grazia a inserirsi in un contesto che sembra semplice distorcendone i caratteri usuali e instaurando una serie di livelli di lettura stratificati, che vanno dalla velata critica ai poteri dittatoriali del regime cubano fino a una riflessione psicologica sui ruoli familiari. Personalmente credo che l’aspetto più interessante sia come la figlia guardi ai suoi due esempi genitoriali con la libertà di poter scegliere se essere donna o uomo, mettendo inconsciamente in discussione la sua sessualità e il suo ruolo nella famiglia come nella società. E’ un film che sebbene abbia ritmi più lenti secondo me può essere distribuito ad ampissimo pubblico, proprio perché scorre benissimo e non annoia, e dona diverse esperienze e interpretazioni a seconda di cosa lo spettatore mette di suo. Una prima prova decisamente ben fatta, ben recitata e che insegna tantissimo.

Termino questa corsa con One Cut of the Dead di Shinichiro Ueda, già presentato al Far East Film Festival di Udine. Questo film è una prova magistrale di amore verso il cinema, dove realtà e finzione fanno da specchio una all’altra costantemente. Non è proprio possibile dire di più su questo film, che per fortuna ha già trovato distribuzione in Italia grazie a Tucker Film e sarà in sala il 7-8-9 novembre. Non perdetelo assolutamente, non serve essere fan del cinema di zombie per goderselo, anche se ci sarebbero diverse divertenti prese in giro sul genere… Dal trailer io avevo mentalmente collegato questo film a un’altra pellicola giapponese che ho amato, Why don’t you play in hell? di Sion Sono, perché il presupposto delle due storie è molto simile: come si può portare sulle schermo qualcosa di davvero reale?
I due film sono drasticamente differenti, sia come stile che come svolgimenti, ma mi sento di poter dire che in Giappone questi due autori, con storie molto diverse, hanno omaggiato la passione di fare cinema sopra ogni cosa con film che resteranno, nel mio cuore come penso in quelli di molte altre persone.

Così come il ToHorror, che davvero mi ha insegnato quante cose si celino dietro questa macro etichette di “horror” e “fantastico”, facendomi desiderare di recuperare al più presto tutti i grandi classici del genere che ancora non ho visto.
Fortuna che tra poco è Halloween e tantissimi blog mi suggeriranno cosa vedere.
Ah, noi invece quest’anno non faremo alcuna classifica di film horror o a tema Halloween…faremo qualcosa di completamente diverso!

Arianna Vietina
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