Quando questo film venne presentato al Toronto International Film Festival nel 2016 la mia curiosità salì alle stelle. Mi spaventavano molto gli articoli sul film che titolavano “Svenimenti in sala”, ma dall’altra parte ero molto incuriosita da questa produzione franco-belga su una adolescente cannibale, probabilmente anche perché il progetto era stato sviluppato all’interno del Torino Film Lab, ente di affiancamento alla produzione con sede in Italia da cui avevo già visto uscire Interruption. E quando sono riuscita, dopo mille peripezie, a mettere le mani su questo lavoro ho trovato qualcosa di completamente inaspettato.
Io non sono svenuta, ma è stata una visione davvero coinvolgente e scioccante, per motivi alquanto impensati.
Raw è un’opera prima scritta e diretta dalla regista Julia Ducournau, che si è formata a La Femis di Parigi. Si vede la formazione accademica proprio dalla struttura del film, che calca i passi del romanzo di formazione. Il film parla di Justine, una adolescente che si trasferisce nel collegio della scuola di veterinaria già frequentata dai suoi genitori e dalla sua sorella più grande Alex.

Ho scelto questo film per il mese di settembre proprio perché è immerso in quel sentimento di coming back to school, intriso di incertezze e paure comprensibili e nostalgiche: sarò all’altezza? I miei compagni di scuola sapranno accettarmi per come sono? Il film parte da queste paure che tutti abbiamo vissuto, portando avanti due percorsi paralleli connessi tra loro: da una parte lo sforzo per diventare adulti confrontandosi con i problemi della crescita, e dall’altro la scoperta di essere cannibale.
Justine a inizio film è vegetariana, come tutta la sua famiglia. Ma durante un rito di iniziazione al campus viene costretta a mangiare un fegato di coniglio crudo, spinta dalla stessa sorella che vuole aiutarla a inserirsi nell’ambiente della scuola. Lo choc per aver ingerito un alimento estraneo alla sua dieta provoca a Justine delle violente reazioni cutanee, che la ragazza non riesce a spiegarsi. Una volta passate ciò che le resta di quella esperienza è una strana fame, un istinto a mangiare cose che prima non avrebbe neanche guardato. Justine vive questo cambiamento con forte stress, accumulato anche dalla pressione degli esami, dalla difficoltà di farsi accettare e alla comparsa delle prime pulsioni sessuali. Tenta in ogni modo di soffocare questa fame, arrivando a mangiare nervosamente i propri capelli fino a vomitare in una delle scene più raccapriccianti del film. Ma la soluzione è solo una: mangiare le persone. Raw distorce l’immaginario legato al cannibalismo introducendo una componente istintuale solitamente non prevista.
L’antropofagia è una tendenza razionale, che corrisponde a una usanza culturale o a una necessità. Al massimo può essere ricondotta a un disturbo psichico, ma resta una presa di posizione nei confronti del tabù della carne umana, come nel caso di Hannibal Lecter, probabilmente il cannibale più famoso del mondo letterario: Lecter viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico, la sua tendenza sicuramente coincide con un disturbo, ma lui è lucido nella sua scelta, sa cosa sta facendo e forse anche perché. Per questo è una figura così intrigante, perchè eleva quel gesto che fa rabbrividire a una sorta di libertà intellettuale. Lui è talmente padrone di sé e del mondo che lo circonda da poter divorare altre persone, spesso in virtù della loro inferiorità.
In Raw si vede qualcosa di radicalmente diverso: il rapporto di Justine con la carne è una dipendenza, più simile a quella degli zombie con i cervelli o dei vampiri con il sangue. Justine deve mangiare carne umana, viene completamente posseduta da questo desiderio. Così il suo coming of age non riguarda solo la sua trasformazione da ragazza a donna, la sua scoperta del sesso o la sua formazione in quanto medico, ma anche e soprattutto la sua scesa a patti tra istinto e società. Una sfida tormentata, costellata da episodi violenti, tra i quali ci sono tre sequenze che sono al tempo stesso rivelazioni, punti di evoluzione e le scene più disturbanti del film.

La prima è quella in cui la sorella Alex sta facendo a Justine la ceretta all’inguine. Innanzitutto è da segnalare che non si vedono mai scene di depilazione, soprattutto con quadri così ravvicinati. A parte qualche sketch in film comici, la depilazione è qualcosa che non si vede mai, né si nomina, mentre qui l’azione viene preparata, viene inquadrata e ci viene permesso di entrare in sintonia con quello che sta succedendo. Per questo quando a un certo punto Alex impugna delle forbici e, in un momento concitato, le viene mozzato un dito l’escalation è incredibilmente repentina e irreale, tale da lasciarci basiti. E il crescendo non si ferma, poiché Justine, dopo aver chiamato l’ambulanza, raccoglie il dito della sorella, lo osserva, lo succhia e infine lo mangia. E l’escalation si arresta sul volto di Alex, che rinviene dallo choc e osserva sua sorella divorare il suo dito mozzato.
Questo episodio apre a un percorso di riappacificazione tra le due sorelle, per quanto possa sembrare strano a dirsi. Le due sorelle hanno un rapporto altalenante, tra l’invidia, l’arrivismo e la comunione fraterna, ma questa scena appare quasi come una sorta di incesto cannibale, un terreno borderline tra l’annientamento di una per la vita dell’altra, un momento che può aprire a una serie di scenari differenti.

Ed è la seconda scena che ci porta nella direzione che il film vuole seguire, avvicinandoci sempre più alla risoluzione dell’enigma della dipendenza di Justine. Alex, dopo essersi rimessa dall’incidente, conduce Justine in un strada isolata, fuori dal campus. Lì le due si nascondono a bordo strada, e quando compare un’auto Alex esce allo scoperto, spaventando il conducente che finisce fuori strada e si scontra con un albero. Questo gesto che per Justine è incomprensibile trova immediata risoluzione: Alex apre lo sportello e comincia a mordere la testa sanguinante dell’uomo. Ci viene rivelato che anche Alex mangia le persone, e ha persino sviluppato una tecnica predatoria per uccidere le sue vittime senza farsi scoprire. Questo livello di organizzazione destabilizza il nostro racconto, che finora vedeva Justine come una psicopatica isolata, ancora alla ricerca di un motivo per le proprie pulsioni. Adesso invece le sue manie rientrano in un sistema più ampio e condiviso con una persona a lei vicina. Il legame tra le le due potrebbe adesso stringersi, ma Justine non riesce ad accettare questa freddezza con cui la sorella ha ucciso. Il conflitto interno con i propri istinti si indurisce, e Justine non riesce a trovare pace nonostante si rifugi nell’alcol e infine nel sesso con il suo compagno di stanza.

Il rapporto di Justine con l’amico Adrien è particolare: entrano subito in intesa, lui da subito ricopre un ruolo fraterno, fatto a metà di protezione e metà di durezza, ma mentre il film si svolge Justine lo vede sempre più come un oggetto sessuale. Il corpo dell’attore si propone alla telecamera svestito, in movimenti atletici o in situazioni sensuali, così che ci è impossibile collocarlo al di fuori di una sfera di desiderabilità. Eppure ci viene anche subito sottolineato il fatto che lui sia omosessuale. Questa confusione sessuale, tra le pulsioni di lui e lo sguardo di lei, non fanno che accentuare il fatto che la pulsione primaria non è strettamente legata al sesso ma al consumo del corpo. Justine desidera sessualmente Adrien come sublimazione del suo sogno di mangiarlo. Ed è così che arriviamo alla terza scena shock del film, quando Justine si risveglia accanto ad Adrien e scopre, in una sequenza che deve tutto a Il Padrino, di aver divorato parte del ragazzo, assistita dalla sorella Alex. La fine dell’intesa con Adrien suggella la sorellanza con Alex, che infine si sacrifica andando in prigione per l’omicidio del ragazzo, permettendo a Justine di essere libera.
Solo che adesso Justine si trova sola. La sua unica alleata è lontana e isolata, quindi come affronterà il mondo consapevole di essere cannibale ma privata dell’unica guida che abbia mai saputo comprenderla e aiutarla? Non è finita qui. Come se questo interrogativo non fosse già abbastanza duro il film decide di chiudersi con un ulteriore colpo di scena. Mentre sono a cena il padre di Justine approfitta di un momento in cui la madre si allontana per rivelare alla figlia che il cannibalismo è un istinto di famiglia. Sbottonandosi la camicia rivela numerose cicatrici di graffi e morsi che la madre di Justine gli ha inflitto negli anni per sopire la sua fame di carne umana. Con la battuta finale del padre, “Sono certo che troverai una soluzione tesoro”, Justine capisce di non aver davvero più scampo. La sua è una malattia genetica con cui dovrà convivere tutta la vita, e come la affronterà è la scelta che penderà sulla sua testa. Cosa sceglierà tra uccidere sconosciuti che transitano in auto per strade isolate, trovare un partner disposto a farsi salassare o essere preda dei raptus che già le hanno fatto divorare un compagno di scuola? Questo è un altro film.
Con questa selezione di scene ho voluto sottolineare come questo film si sostenga su una originale diversione dal tema del cannibalismo e su un uso sapiente della costruzione narrativa, come sottolineato dalla concatenazione di queste tre scene. Ma il film ha anche numerosi altri elementi degni di nota, che contribuiscono a renderlo un’opera unica. Il cast è ottimo, soprattutto nella scelta della protagonista Garance Marillier, che aveva già lavorato con Ducornao nei suoi due cortometraggi precedenti. L’attrice è stata formidabile nell’interpretazione soprattutto a livello fisico, riuscendo a mostrare una grande potenza nonostante il corpo molto esile, e attraverso un’evoluzione delle espressioni è riuscita a mostrare quella forza famelica che emerge dal viso di ragazzina.

Tra questi ci sono l’uso di musiche variegate, sia che si rifanno alla tradizione più propria dell’horror, sia musica pop, il cui mix crea quel senso di dramma nel quotidiano. Poi c’è la fotografia, che tende a rendere appetibili le immagini, con colori pieni e luci che addolciscono le forme, e la composizione dell’immagine quasi sempre scissa in due piani, un davanti e un dietro, due metà dell’inquadratura, oppure ricerca la simmetria. Un gusto estetizzante che rende questa carrellata di immagini di morte un piacere per gli occhi, così che il nostro sguardo goda dell’immagine quanto Justine gode del sogno di divorare chi le sta intorno.
Attendo con ansia il prossimo film di Julia Ducournau, Titane, perchè penso che al di là del genere del film apporterà questa sua visione dissacrante e che vuole allontanarsi dalle regole imposte.
