I-Scream – Alien

Si festeggiano in questo mese i 40 anni dall’uscita di Alien, e i motivi per tornare a parlarne sono numerosi. Si tratta di uno dei film horror più famosi della storia e un’opera su cui discutere ancora tanto da diversi punti di vista: la sua costruzione della suspense, il suo design, i suoi temi e le interpretazioni. E’ stato qualche tempo dopo aver deciso di cominciare questa rubrica che mi sono resa conto che, tra quelli che contavo come miei film preferiti, c’erano due film horror, che sono Rosemary’s Baby e Alien. Li ho visti entrambi molto tempo prima di cominciare ad avvicinarmi a questo genere, quindi pensavo mi fossero rimasti così impressi anche per questo sguardo ingenuo che avevo.

A rivederli quest’anno, in occasione della scrittura di questa rubrica, ho invece realizzato che non è solo una questione di stupore e meraviglia, bensì di film che hanno fatto delle scelte radicali e si sono distinti dalla massa per la loro audacia, originalità e costruzione. 

Alien, a differenza di Rosemary’s Baby, è un film horror iconico, ultra citato e che ha dato origine a una gran quantità di nuovi contenuti, andando a stagliarsi come un prodotto della cultura di massa. Tutti conoscono Alien, anche se non l’hanno mai visto, e il motivo è racchiuso soprattutto nella forma inquietante e affascinante dell’alieno detto xenomorfo

Ma forse stiamo correndo un po’ troppo?
Innanzitutto, la trama del film: una navicella spaziale di ritorno sulla Terra e costretta a fermarsi per rispondere a un segnale che potrebbe essere una richiesta di aiuto. Una volta sbarcati su un piccolo pianeta uno degli astronauti viene attaccato da uno strano essere, rimanendo immobilizzato. Dopo qualche tempo l’uomo si riprende, l’animale sembra morto e tutto potrebbe procedere alla normalità. Se non fosse che l’alieno ha fecondato l’uomo: in una delle scene più sorprendenti di sempre un cucciolo di alieno sfonda il torace dell’astronauta e fugge per la nave, di fronte al terrore dell’equipaggio. Comincia una caccia lunga e snervante, nella quale uno a uno tutti gli astronauti muoiono, lasciando solo il tenente Ripley a confrontarsi con questa creatura, che nel frattempo è cresciuta a dimensioni sovrumane. 

La storia è costruita secondo le regole della narrativa, con un percorso, un ostacolo, una rivelazione, un climax, uno scontro finale. Su questa struttura base del racconto, Alien inserisce una soluzione molto intelligente che non è spesso usata: divide il protagonista in una serie di personaggi, creando quella che viene definita una “geografia di personaggi”. Cosa significa? Solitamente il film ha un protagonista, oppure due o tre, ma è meno usuale avere una squadra intera. Qui invece non è chiarificato subito chi dei sette personaggi sia la figura guida con cui noi spettatori dobbiamo identificarci. Ogni personaggio ha abbastanza battute per definire la sua connotazione e carattere, che vanno a identificarli con un elemento importante per il racconto: Parker è l’audacia, Brett la remissività, Ripley l’ordine, Dallas la giustizia, Lambert la paura, Ash la conoscenza. Solo Kane ha una connotazione parziale, perché il suo ruolo è quello di prima vittima, di esempio che mostra la pericolosità del nemico. In ogni caso, sebbene un maggior numero di scene sia dedicata a Dallas e Ripley, tutti i personaggi hanno uno spazio di crescita per conquistare lo spettatore, che solo alla fine capisce che Ripley è la protagonista, perché è l’unica a sopravvivere in virtù del suo rigore. 

Questa frammentazione del protagonista in diversi personaggi funge a più cose. La prima è quella di tenere alta l’attenzione dello spettatore, impegnato a tenere sotto controllo non solo un personaggio, ma tutti, nell’attesa di capire il loro ruolo. Questo succede più spesso nei film di azione o nei film horror, in cui ci sono gruppi di personaggi, aggiunti però solo allo scopo di essere eliminati durante lo svolgimento narrativo, andando a costruire l’apprensione crescente nei confronti del protagonista. Qui non è così: ogni personaggio ricava il suo ruolo all’interno della storia, così che quando scompare la sorpresa è tanta e lo spettatore si sente coinvolto. In questo modo il protagonista del film diventa più ampiamente l’uomo, la razza umana, in contrapposizione al mostro venuto dallo spazio.

L’alieno xenomorfo è stato disegnato dallo scultore Hans Ruedi Giger, ingaggiato dallo sceneggiatore O’Bannon che aveva già collaborato con lui nel progetto di Dune di Jodorowski. Lo scultore ha lavorato a stretto contatto con il team del film, nella realizzazione di un mostro che doveva avere una funzione essenziale: capovolgere il mondo in cui l’uomo è la figura centrale. 

Nel cinema e nella letteratura ci sono mostri che semplicemente entrano nel nostro mondo e altri che invece lo trasformano. Al primo gruppo afferiscono i vampiri, i lupi mannari, le creature che vengono domate dall’uomo che riesce a ristabilire l’ordine. L’altro gruppo è invece composto in gran parte dagli zombie, che sono un tipo di antagonista molto innovativo proprio perché entrano nel nostro mondo e lo convertono alle loro logiche, rendendo impossibile debellarli. L’alien fa parte di questo secondo gruppo, poiché da quando entra nella nave tutto si svolge seguendo le regole da lui imposte. Per costruire la sua predominanza sul mondo conosciuto, questo mostro è stato connotato da alcuni elementi chiave che adesso compongono la sua mitologia: non conosciamo le sue origini, appare semplicemente dal buio dello spazio; si attacca alle sue vittime come un parassita, colonizzando il corpo umano a suoi scopi; non uccide per nutrirsi, ma per puro desiderio di eliminare la specie, come farebbe un virus; racchiude in sé caratteristiche dell’umano (poiché sta eretto su due zampe e quattro arti antropomorfi), ma anche con gli animali (ha delle zanne e si muove senza l’aiuto della vista) e del mondo organico delle piante (il suo sangue è corrosivo). E’ quindi un essere che travalica i confini dei regni che dividono le specie nel mondo, li contiene e li supera tutti. Il terrore che crea sulla nave deriva dal fatto che ogni mossa pianificata nei suoi confronti diventa fallace per una nuova caratteristica che il mostro rivela. 

L’unico membro dell’equipaggio che non è spaventato dallo xenomorfo, bensì appare incuriosito, è Ash, il responsabile dell’area scientifica, che si scoprirà essere un androide. La sua fascinazione è possibile in quanto non è un essere umano soggetto alla morte, unico scopo dell’alien. 

La caratteristica che sopra tutte rende così spaventoso l’alien è proprio il suo muoversi instancabilmente per uno scopo unicamente distruttivo, esattamente come gli zombie. Con la differenza che in questo film la nostra eroina Ripley riuscirà in extremis a liberarsene, agendo sempre attraverso la ragione, unica arma umana contro la ferinità di questa bestia sconosciuta. Il lieto fine di Alien non era previsto nella sceneggiatura: nella prima versione alla fine lo xenomorfo prendeva il comando della navicella e si dirigeva verso la terra, comunicando con le stazioni spaziali attraverso la voce di Ripley. Il finale venne modificato sotto la pressione dei produttori, più propensi a un finale positivo, e questa scelta ha reso anche possibile ben tre sequel del film, tutti con protagonista Sigourney Weaver nei panni di Ripley, firmati da autori importanti come James Cameron, David Fincher (Alien³  fu addirittura il suo primo lungometraggio) e Jean-Pierre Jeunet. I sequel sono un percorso discendente verso il trash, consentito anche dall’implementazione della grafica digitale, ma restano lavori molto interessanti per come hanno cercato di espandere l’universo di Alien. Discorso ben diverso va fatto invece per i cross over di Alien Vs. Predator, dove alcune idee del film originale vengono invece piegate al tono più vicino all’action proprio della saga Predator, e per i prequel, il famoso Prometheus (che è pressappoco un rifacimento di Alien cambiando i personaggi) e Alien Covenant, che ha deluso molto le mie aspettative. Oltre ai film, lo xenomorfo è diventato protagonista di fumetti e saghe videogame come Alien Isolation, recensite positivamente. E’ un mostro che si presta a uno sfruttamento commerciale immenso, in quanto è una creatura dal design accuratissimo e con un grande potenziale in termini di paura. Il suo teschio allungato coperto da una corazza lucida che finisce su quattro file di denti distribuite in due bocche è senza dubbio impossibile da ignorare e coniuga un gusto estetico altissimo con elementi spaventosi. 

A questo proposito, tra le molte letture che sono state date del film, c’è anche quella che riconosce nella forma della testa dell’alien una forma fallica, mentre nella versione face hugger quella di una vagina. Il concetto che in Alien si mescolino i due sessi maschile e femminile si aggiunge a quella dimensione onnipotenza del mostro. Si tratta inoltre di un mostro che agisce in maniera sessuale, in quanto penetra gli esseri umani e li feconda, deponendo un nuovo alien nella loro cavità toracica. Questa dinamica è stata spesso letta dalla critica come una metafora dello stupro imposta su tutti gli esseri umani, uomini e donne. 

Alien ha ispirato numerosi film successivi, ma si è sempre proposto come un film originale. E’ stata però notata una analogia con il film italiano Terrore nello spazio di Mario Bava, del 1965, in cui un gruppo di astronauti atterra in un pianeta sconosciuto, sotto richiesta di aiuto, e vengono aggrediti da degli zombie, che li tramutano a loro volta. Notate qualche somiglianza? Non solo: il finale del film di Bava sembra proprio essere quello che Scott non riuscì a difendere per Alien. Ci sono diverse cose in comune tra i due film, ma O’Bannon e Ridley Scott hanno entrambi assicurato di non aver mai visto Terrore nello spazio prima di realizzare il  loro film. La vicenda si chiude osservando come dal 1979 questo film italiano è stato rititolato come Alien è terrore nello spazio

Senza voler puntare il dito malignamente verso queste curiose ridondanze, forse è più giusto fermarsi a pensare come nel cinema di quegli anni lo spazio era una frontiera di grande fascinazione sulla quale numerosi autori hanno immaginato storie, spesso con esiti drammatici che simboleggiano la nostra curiosità e desiderio di conquistare altri mondi. Uno dei grandi fuochi della fantascienza è proprio il confronto dell’uomo con i limiti del proprio desiderio di possesso, e Alien fa anche questo, riducendo i corpi dell’uomo a meri simulacri funzionali all’evoluzione di un’altra specie, più perfetta e capace veramente di conquistare il mondo. 

Cosa che Alien ha fatto. 

2 Comments

  1. Pingback: Prometheus come Alien (?) - Pepperminds Blog

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