Donne: otto film per riflettere sul loro ruolo nel cinema

In questi ultimi anni ci si è concentrati molto di più nel comunicare il cinema realizzato da donne, o con donne come protagoniste, spesso puntando su questo elemento per la promozione dei film nei festival e in sala. Ma ha veramente senso parlare di un cinema femminile? Esiste? Avere donne come protagoniste modifica le trame narrative, i generi, la prospettiva che il film ci regala?

Purtroppo o per fortuna non ci sono risposte a questi interrogativi che in ogni caso vanno posti, lasciandosi coinvolgere da film come quelli di cui vi parliamo oggi, tutti usciti nell’ultimo anno.

Little Women di Greta Gerwig: Questo titolo classico non può sfuggire a un articolo che si propone di valutare il ruolo delle donne nei film. Scritto e diretto da Greta Gerwig che ha dimostrato con questo lavoro di saper gestire il peso della storia e le intuizioni giovani e fresche, che derivano dalla sua esperienza, creando un spazio nuovo per una delle più indimenticabili storie di donne. La storia di Piccole Donne è un essai sui sogni, le speranze e le possibilità di quattro personaggi molto diversi tra loro, che rappresentano tensioni e desideri diversi e al tempo stesso comuni a tutte le donne. Lottano le battaglie che ad oggi ancora ci appartengono, quella per la famiglia e per il lavoro, per l’indipendenza e la libertà di espressione. La Gerwig è riuscita a dare una sua rappresentazione forte e toccante, avvalendosi di diverse ottime interpreti. E’ un film per donne? Noi consigliamo la visione soprattutto ai ragazzi in giovane età.

Hustlers di Lorena Scafaria: ispirato ad una vicenda riportata sul New York Times nel 2015 in un articolo intitolato “The Hustlers at Scores: The Ex-Strippers Who Stole From (Mostly) Rich Men and Gave to, Well, Themselves”, Hustlers racconta di un gruppo di spogliarelliste che per guadagnarsi da vivere durante la crisi finanziaria del 2007-2008 iniziano a drogare i clienti benestanti per estorcergli denaro. E’ un film interessante per il modo in cui offre un punto di vista nuovo su un ambiente che spesso viene denigrato e considerato solo per la “degradazione” ad esso associata. Lo sguardo femminile, della regista e delle protagoniste, non cade mai nel banale e mette a fuoco donne che non si arrendono di fronte alle proprie debolezze, lottando per il riconoscimento della validità del loro ruolo nella società a denti stretti senza temere chi si trovano di fronte. Un inno all’indipendenza sul proprio corpo che in un certo senso sfata il mito che sia sbagliato usarlo per raggiungere gli obiettivi preposti.

Ema di Pablo Larraín: La rappresentazione della femminilità fatta da Larraín in Ema è una vera e propria esplosione di vita. La protagonista Ema è spietata, forte, coraggiosa, sensibile, debole, madre, fidanzata, ballerina, donna. Essere femmina è così, un tornado che prende forme diverse ad ogni battito di cuore. E il regista cileno ce lo mostra seguendo i ritmi del reggaeton, un genere musicale discutibile che piegato al servizio della storia si adatta dando un gusto di follia e passione che si adattano perfettamente alla vicenda narrata. Durante la visione di questo film siamo costantemente destabilizzati, perché ogni minuto cambiamo idea su chi sia Ema, se sia un personaggio che ci piace o meno, altalenando in un mood lunatico e nervoso. Ema però crea un proprio equilibrio da questo caos, a costo di manipolare chiunque le sia intorno. 

Vitalina Varela di Pedro Costa: Questo film di Pedro Costa è stato un titolo caldo nell’ambiente critico dalla sua presentazione al Festival di Locarno. E’ quindi un titolo abbastanza noto, sebbene non abbia raggiunto il grande pubblico, passo piuttosto difficile considerato che si tratta di un’opera lenta, silenziosa ed enigmatica. La sua protagonista è la padrona assoluta della scena, al punto di aver invaso persino lo spazio del titolo. Si tratta del ritratto struggente di una donna che raggiunge il marito defunto a Lisbona, per prendere in mano i suoi affari dopo una separazione lunga venticinque anni. Pedro Costa ha scovato questa storia in prima persona, e ha cominciato a riprendere Vitalina pochi giorni dopo averla conosciuta. La sua presenza è concreta come i muri che la circondano, densa come il buio che riempie tutte le inquadrature lente e implacabili. Vitalina davanti all’obiettivo si spoglia della sua età, della sua condizione, e diventa un corpo cinematografico di potenza straordinaria

To the Ends of the Earth di Kurosawa Kiyoshi: Sempre a Locarno è stato presentato  questo lavoro che ritrae con dolcezza e curiosità una giovane reporter giapponese in viaggio per documentare l’Uzbekistan attorniata da una troupe di soli ragazzi. Questa figura minuta si muove errando per città e campagne sconosciute, trasfigurandosi dalle lunghe notti insonni, le ore di viaggio, di cambi e di trucco, per diventare un personaggio di carta davanti alla telecamera. Il viaggio l’aiuta a piccoli passi a riscoprire se stessa e le sue vere passioni, tra cui l’arte del canto che il suo lavoro non le permette di esprimere. Questo lavoro molto puntuale nel descrivere la routine di una piccola star della tv, con le sue insicurezze e i patti a cui deve scendere, ed è molto interessante la costruzione del personaggio, arricchito di sfumature inaspettate e raccontato nella sua intimità attraverso il viaggio esterno. 

The Farewell di Lulu Wang: in questo film intimo diretto da Lulu Wang partendo dal proprio vissuto personale, è la relazione tra nonna e nipote a darci una chiave di lettura della femminilità. Si tratta di un rapporto ricco d’amore, messo a confronto con la dura realtà della malattia. La giovane protagonista, cresciuta in America, cerca di portare la verità all’interno delle tradizioni della famiglia cinese che vorrebbe tenere nascosto alla nonna il tumore che le è stato diagnosticato. L’ambiente familiare fa da cornice al gioco di bugie, di detto-non detto, mostrando con molta delicatezza la complicità che si crea tra lei e la nonna, in contrasto al rapporto con la madre. E’ uno scambio fatto di alti e bassi che nonostante i momenti di incomprensione può dar vita a legami profondissimi dove non servono per forza parole e verità per la trasmissione dei sentimenti. E’ suggestivo, inoltre, osservare le dinamiche familiari orientali in cui il senso di comunità e di famiglia sono molto più forti e generano riflessioni sul modo in cui affrontiamo ogni giorno le relazioni con chi ci sta attorno.

Midsommar di Ari Aster: (Questo paragrafo contiene SPOILER) Qui parliamo di un film horror in cui la storia viene costruita a partire da un interessante rapporto tra la protagonista Dani e il suo fidanzato Christian. La dinamica di coppia diventa una delle più interessanti chiavi di lettura dell’intero film, che raccoglie a piene mani da antiche culture pagane e psicanalisi per creare un’atmosfera di terrore che alla fine ci rimanda a una paura molto più generalizzata e familiare a tutti noi: quella della crisi di coppia. La relazione ci appare da subito molto squilibrata: lei è una ragazza instabile e lui invece è superficiale e sempliciotto, incapace di cogliere i segnali di malessere di lei. Questa tensione viene compressa all’interno di un curioso viaggio alla scoperta del festival di mezza estate in Svezia, evolve, si distorce e raggiunge un tragico epilogo, dove a soccombere è Christian. Dani nel corso del film raggiunge una maggiore stabilità grazie all’inclusività morbosa della comunità svedese, che si dimostra capace di capirla. In definitiva, il crescente clima di terrore viene vissuto da Dani al contrario, come un progressivo percorso verso l’equilibrio e l’affrancamento dalla relazione tossica. Femminismo? Indipendenza della donna? Naturalmente il regista Ari Aster non vuole suggerire che le donne debbano disfarsi del proprio partner per raggiungere l’autonomia, eppure…

God Exists, Her Name is Petrunija di Teona Strugar Mitevska:  l’ultimo film di Teona Strugar Mitevska ha attirato l’attenzione su di sé a partire dalla presentazione alla Berlinale dell’anno scorso e, dopo averlo visto al Torino Film Festival, anche noi siamo state conquistate dalla semplicità e dalla determinazione di Petrunija, una donna alla ricerca del proprio posto nella società. In questa ricerca compie un’azione che rompe gli equilibri del paesino macedone in cui vive dimostrandone la mentalità antica e patriarcale. La sua lotta contro questa mentalità può essere, con le dovute sfumature diverse, collocata in ogni paese. Perché per quanto si stiano compiendo passi in avanti per il riconoscimento dei pari diritti delle donne, la strada da fare è ancora molto lunga. Il film non ci lascia però senza speranza, al contrario: la coerenza di Petrunija, il suo riflettere e parlare in maniera limpida, ci fa capire come la logica e la parola possono essere le armi vincenti per rendere il dibattito tra i sessi effettivamente un dibattito tra pari.

Negli ultimi anni sono usciti tantissimi film che puntano su protagoniste femminili, e questi sono solo alcuni tra quelli che ci hanno colpito. Ricordiamoci però che parlare di donne non è solo la moda del momento, bensì si tratta di esplorare un mondo finora meno rappresentato, e la cosa più bella è in realtà scoprire la profondità e il valore dei ruoli femminili anche in film che non si gloriano di avere delle donne nelle loro storie. 

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