Anime Noodles – Nana

Da oggi su Pepperminds si parte per un nuovo viaggio, quello nel mondo degli Anime. Ho pensato a lungo a come cominciare Anime Noodles, per poter rendere giustizia a questo universo diventato fondamentale per me. Dopo settimane passate a cercare di decidermi su quale anime scrivere per avviare la rubrica ho letto la notizia dell’arrivo di Nana su Netflix. Presa dalla nostalgia di quello che per me è stato l’anime dove tutto è cominciato ho deciso di riguardarlo e scrivere questo articolo. Cercherò di elaborare le mie idee nel modo più oggettivo possibile, ma è difficile affrontare qualcosa che si è amato così tanto con uno sguardo lucido. 

Nana è un anime tratto dal manga omonimo di Ai Yazawa, pubblicato sulla rivista Cookie dal luglio 2000 al giugno del 2009 e serializzato poi in 21 tankōbon (volumi, in giapponese). In Italia arrivato dal 2002 grazie a Planet Manga. L’anime invece è stato prodotto dalla Madhouse (stesso studio d’animazione di Death Note) ed è andato in onda in Giappone sul canale Nippon Television dall’aprile 2006 al marzo 2007. Va precisato che purtroppo l’anime non copre il manga nella sua totalità, si ferma infatti al capitolo 42 del 12° volume, e il manga è incompleto. Su questa incompletezza torniamo dopo. In Italia l’anime è arrivato a partire dal 2007 su MTV e già da qui potremmo cominciare a fare le prime riflessioni sul come Nana è arrivato nella vita di moltissime ragazze degli anni Novanta. 

Nana parla di due ragazze accomunate dallo stesso nome, Nana Komatsu e Nana Osaki che si trovano sul treno per Tokyo, dove entrambe si stanno trasferendo. Rincorrono obiettivi diversi, Nana Komatsu va a Tokyo per cercare lavoro e per poter stare con il fidanzato Shoji che vive lì da un anno; Nana Osaki invece è una cantante e si trasferisce in città per diventare una musicista professionista e ritrovare l’uomo della sua vita, che è per l’appunto Ren. Anche se sono opposte come carattere e stili di vita le due si ritrovano accomunate da quello che, seguendo la tradizione giapponese, possiamo chiamare il filo rosso del destino. 

Da un punto di vista di genere Nana viene spesso definito come uno shōjo (少女 letteralmente “ragazza”), manga o anime che si rivolge ad un pubblico femminile che va dai dieci anni circa fino alla maggiore età, ma in molti hanno posto dubbi su questa classificazione, dicendo che forse sarebbe più appropriato definirlo un josei (女性漫画 letteralmente “manga per donne”), che si rivolge sempre ad un pubblico femminile, ma più adulto. Avendo tra le sue pagine temi come la prostituzione minorile, l’uso di droghe e un personaggio che lavora come pornostar, io mi trovo più in accordo con la definizione di josei. Nonostante questo è difficile dargli una definizione rigida perché anche se compaiono temi come questo non vengono mai affrontati con brutalità e cattivo gusto, anzi vengono rappresentati con una dolorosa delicatezza. Credo si debba mettere su un livello di percezione individuale del proprio limite di appropriatezza secondo l’età, tenendo conto che si tratta di un limite diverso di paese in paese. È risaputo come le ragazze giapponesi abbiano un gusto più peculiare di quello delle ragazze occidentali. L’esempio che mi piace citare di più a questo proposito sono i racconti delle ragazze liceali giapponesi che negli anni ottanta si infilavano nei cinema per vedere, ad esempio, i film di Dario Argento, di cui parla Giorgio Amitrano nella postfazione a Kitchen di Banana Yoshimoto.

Nel corso del tempo passato dalla sua creazione a oggi Nana è riuscito a raggiungere un grande successo tanto in Giappone quanto nel resto del mondo, testimoniato ad esempio dalla ristampa del manga che sta avendo luogo proprio in questi mesi in Italia. 

Tra gli elementi che l’hanno reso un’opera di successo quello che prevale è senza dubbio la varietà dei personaggi, che consente empatia e identificazione da un pubblico altrettanto variegato e ampio. Questa varietà è rappresentata in primis nelle due Nana protagoniste. Komatsu vive sulle nuvole, è spensierata e innocente, si fida con molta facilità delle persone che ha davanti, si innamora ogni due minuti di un ragazzo diverso e incarna il tipo di ragazza che idolatra i membri dei gruppi musicali (come si può vedere nel suo incondizionato amore per Takumi). Osaki invece vive con i piedi ben piantati per terra, arriva a noi con un passato molto doloroso che le ha dato una profonda durezza nei confronti della realtà, è fredda, ma quando ama ama per sempre e con tutta se stessa (si veda la relazione con Ren). Ha una sorta di magia il tipo di rapporto che si crea tra queste due ragazze e il modo in cui si completano a vicenda. La durezza di Osaki è quello che serve a Komatsu per diventare adulta e l’innocenza di Komatsu è quello che serve a Osaki per lasciarsi andare di più, trovando la serenità.
I loro due aspetti della femminilità sono presenti in qualche modo in ogni ragazza perché per quanto specifiche possano essere le individualità che ci rappresentano, esiste sempre e comunque una universalità che accomuna il genere femminile di tutto il mondo. Ed è proprio questa universalità che Nana raggiunge.

Oltre a loro due si può trovare questo elemento di varietà anche nei personaggi maschili, da Nobu a Takumi, da Shin a Yasu, fino a Ren passando anche per Shoji e Kyosuke. Tutti questi personaggi sono ognuno unico ed emblema di un tipo di mascolinità diverso l’uno dall’altro. Senza percorrerli uno per uno va semplicemente sottolineato come questa diversità possa permettere ad ogni ragazza di affezionarsi, se non a più, almeno ad uno degli uomini della serie. Possiamo fare tutti i discorsi filosofici che vogliamo, ma è innegabile come il pubblico femminile abbia bisogno di questo tipo di anime per dare sfogo al bisogno di amore che nell’età dell’adolescenza viene incanalato anche su personaggi fittizi. In Nana c’è un uomo per ogni tipo di ragazza e secondo me, vedendo il target, questo è uno dei suoi aspetti vincenti. 

Un altro fattore che ha aumentato la popolarità di Nana è la questione riguardo alla sua incompletezza. È un discorso che riguarda più nello specifico il manga, ma le due cose non possono essere separate. La storia di Nana nel manga è stata tutto fuorché conclusa dall’autrice Ai Yazawa, che per problemi di salute piuttosto gravi ha smesso di lavorarci e portarla avanti. L’enorme problema sta nel fatto che in questa sua “incompiutezza” l’autrice ha chiuso il manga con un avvenimento di una crudeltà tale da lasciare con il cuore del tutto spezzato ogni persona che ha avuto la sfortuna di arrivare agli ultimi capitoli. Sfortuna non perché il viaggio attraverso la storia di Nana sia brutto, anzi, è un viaggio delizioso. 

La fama di questo tragico finale però non ha dissuaso chi ancora doveva a iniziarlo, anzi, essendo l’essere umano per natura attratto dal dolore, ha senza dubbio aumentato la curiosità nei confronti di Nana nel corso degli anni. 

E’ un percorso doloroso certo, ma tornassi indietro lo rifarei subito. Dal primo all’ultimo secondo dell’anime, dalla prima all’ultima pagina del manga.

P.S. A proposito di Ai Yazawa qualche storia è riuscita a concluderla e in particolare vi consigliamo la lettura di Paradise Kiss, di cui è da poco uscita una fantastica ristampa.

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